martedì 19 marzo 2019

Myanmar 20 Kinpun ⇨ Moulmein

20 novembre 2018        Martedì       G20          Kinpun   Moulmein


Paghiamo l’hotel dopo aver fatto colazione e non ci chiedono nulla per aver avuto la stanza con notevole anticipo.


Il tale che ci ha venduto i biglietti del bus arriva in motorino appena prima del camion/taxi che ci porta alla fermata, spiega all’autista dove portarci, saluta e se ne va.
Questo ci fa (erroneamente) stare tranquilli, ci imbarchiamo sulle panche tra persone, masserizie e sacchi di sementi e si parte verso Kyaikto.


Veniamo sbarcati in paese al bordo della strada di fronte all’agenzia dei bus (un tavolino sotto un albero sul marciapiede).


C’è un sacco di traffico di auto camion e ciclomotori, processioni di studenti in camicia bianca e longi verde che sfilano preceduti da camion carichi di enormi altoparlanti che strombazzano a più non posso, draghi di varie forme danzano nella calca.






Un uomo serio, indaffarato con blocchetto e telefono, chiaramente il responsabile di tutti i trasporti della Birmania, guarda i biglietti e ci fa sedere su sgabelli accanto a un cumulo d’immondizia in attesa dell’autobus.


Il tempo passa, all’inizio siamo distratti dalle sfilate e dal caos sulla strada, dopo mezz’ora vado a chiedere, torno dopo tre quarti d’ora e dopo un’ora, al che il tale chiama un altro ministro dei trasporti col blocchetto.
Prima mi aveva cambiato l’orario sul biglietto con la penna, ora mi sostituiscono i biglietti con altri di colore differente e orario ritardato e ci portano ad attendere al banchetto successivo, comincio ad essere spazientito e preoccupato.


Ancora una volta passano 15, 30, 45 minuti e mi arrabbio, al che il ministro con calma olimpica mi cambia di nuovo l’orario sul biglietto che ora riporta 10,45. So che alle 12 c’è un treno per Moulmeyn e sto pensando di ripiegare nel caso di disfatta, ma il dannato bus non arriva.
Quando la fiducia e la pazienza sono ormai agli sgoccioli arriva il nostro autobus, sono le 11,18, aspettiamo da oltre 2 ore e mezzo nel puzzo dell’immondizia tra i cani che rovistano cercando cibo. 


Ancora increduli ci avviciniamo guidati dal ministro dei trasporti in persona, sgomitando nel corridoio stracolmo di passeggeri ci fa strada ai nostri posti, fortunatamente l’aria condizionata è al massimo, sfatti dalla calura ci abbandoniamo sui sedili.
L’interno è lercio e pieno di resti di cibo e sacchetti con sputacchio di betel, una vera esperienza, questa, insieme all’hotel tragico di Bagan, è sicuramente un’altra piccola disavventura di viaggio, ma almeno ci muoviamo verso la meta.
Il paesaggio ci aiuta a non guardare all’interno e ci fa subito dimenticare le traversie incontrate.  Pittoreschi villaggi di palafitte di bamboo con tetti di paglia e di lamiera scorrono accanto a noi. Siamo immersi ora in foreste, pascoli con buoi sparpagliati, piantagioni e paludi, sullo sfondo una linea di monti boscosi.
Nel verde risaltano stupa dorati a decine, abbarbicati sui pendii o in cima ai monti, raggiunti da lunghe tettoie serpeggianti, come bruchi, che coprono i camminamenti.
Il primo centro abitato piuttosto grande è Thahton, si fa sosta accanto ad un tempio molto grande sormontato da un enorme stupa dorato.
Tre ore di viaggio ci hanno spinto 125 km più a sud, siamo sul lunghissimo ponte che attraversa il delta del fiume Salween dando accesso a Moulmein, sotto di noi l’isoletta di Shampoo quasi interamente coperta da un tempio.
Entrati in città ci rendiamo conto che il traffico è notevole, la planimetria è divisa in due da una dorsale di colline coperte di templi, ed eccoci nel bordello di un grande terminal di bus.
Assaliti dai taxisti ancor prima di scendere ci troviamo sul cassone di un motocarro quasi senza aver deciso, seguo con la mappa del telefono il movimento, ma il conducente dimostra di conoscere il Cinderella Hotel e nel giro di dieci minuti ci scarica all’ingresso.
Come sempre gentilissimi ci accompagnano alla stanza passando per una scala e corridoi molto kitsch, decorati come un museo di oggetti tradizionali, maschere, strumenti musicali, immagini religiose.








Forse per mostrare l’esposizione non c’è ascensore, anche le porte delle camere sono decorate e portano un nome oltre  al solito numero.


La nostra stanza non è gran che, sicuramente non vale il prezzo doppio rispetto agli hotel visti prima, ma è pulita e decorosa.


Tappa al ristorante e dopo una doccia partiamo per esplorare il circondario.
Passeggiamo sul lungofiume e ci sediamo ad ammirare il tramonto sorseggiando una coca.



Decine di chioschi propongono street food fritto, grigliato e bollito, c’è di tutto, molto spesso non si capisce di cosa si tratti, grilli, spiedini, interiora, riso, vermicelli, somosa e spring roll.
Torniamo in hotel ad organizzare il prossimo trasferimento, l’ultimo, che ci riporterà a Yangon. Optiamo per un bus diurno, allungando il pernottamento a Yangon di una notte, troviamo posto nello stesso hotel prenotando al momento con Booking.
Il viaggio notturno è drammatico, non tanto in sé quanto per gli orari d’arrivo che sono quasi sempre a notte fonda, ti ritrovi nel mezzo di un luogo addormentato e non sai che fare con tutti i bagagli da trascinare.


Cenetta a lume di candela nel ristorante-giardino dell’hotel sotto gazebo di tela bianca e serviti da una capo sala sofisticata e molto professionale.


Questa serata si conclude con il necessario bucato e il bagno trasformato in stenditoio.



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