giovedì 7 marzo 2019

Myanmar 17 Nyaung Shwe > Kalaw

17 novembre 2018        Sabato       G17           Nyaung Shwe > Kalaw


La colazione in terrazza è sempre entusiasmante con il panorama che ci offre, alcuni degli italiani sono con noi e ci raccontano dei viaggi precedenti.


I racconti proseguono nella hall mentre aspettiamo il taxi, la coppia che organizza le avventure del Geriatric Tour condivide alcune delle esperienze di gruppo e i problemi che incontra nella gestione.
Il nostro autista è in anticipo, carichiamo i bagagli e via verso Kalaw con una sconosciuta Nissan famigliare, simile alla Dacia Logan.
Il sole splende e una densa coltre di foschia ricopre il lago, campi allagati pieni di fiori di loto da un lato, sotto le ruote la strada dissestata fatta in bici due giorni fa.


Saliamo sulle colline che circondano il lago Inle in una sequenza di tornanti malmessi, una banchina sterrata enorme si snoda ai lati della strada.
Le automobili sorpassano i lentissimi camion antidiluviani che viaggiano stracarichi, i motocarri rugginosi e anche i carretti trainati dagli asini. In una nube di polvere i Tazio Nuvolari birmani passano a destra e a sinistra, tagliano i tornanti contromano, a volte si incrociano a corsie scambiate, è un delirio che poco ha a che vedere con la vita flemmatica dei buddisti a piedi.



Nessuno si altera, guidano come dei folli, il clacson serve solo ad annunciarsi, mai ad aggredire.
Onnipresenti lavori stradali sono portati avanti prevalentemente dalle donne che in un polverone infernale portano cestini di terra e pietre sulle spalle per il fondo stradale, il catrame viene steso a rastrello, i macchinari servono solo a scavare, a quanto pare, anche la frantumazione delle rocce è fatta con le mazze.





Sembra di assistere ai lavori forzati dei galeotti.
Superata la catena di colline si riscende in una piana dove una moltitudine di contadini col cappello a cono si muove fianco a fianco rompendo le zolle con la zappa, i bufali ruminano guardando con sufficienza il passaggio dei veicoli.
Superata una seconda linea di rilievi siamo ad Heho, un villaggio invaso da camion e pick-up carichi di persone che in processione seguono statue del Budda inghirlandate di nastri e fiori e veicoli discoteca con altoparlanti più grandi di una lavatrice in un chiasso infernale. 
La strada si snoda in mille e mille meandri fino ad arrivare ad Aung Pan, dove il traffico è anche peggio. Eccoci finalmente a Kalaw, attraversiamo il paese e il taxista i porta direttamente all’Hillock Villa Hotel che si trova in periferia arrampicato sul fianco di un colle.



Paghiamo le 30000 petecchie (Kiat) pattuite e ci guardiamo attorno perplessi, l’architettura è piuttosto inglese e siamo immersi nel verde tra aiuole fiorite, il paese non sembrava un gran che.


Sistemati nella stanza di questa casa alpina tutta di legno ci muoviamo alla scoperta dei dintorni, la zona è collinare ed era una località di villeggiatura all’epoca della dominazione inglese, infatti il clima è asciutto e l’architettura decisamente europea.


Solo la vegetazione lussureggiante ci ricorda i tropici, un magnifico campo da golf attraversa la strada sprofondata nella valletta mentre le palline ci sorvolano da un pendio a quello di fronte e i militari che sorvegliano l’area fermano il traffico al passaggio dei giocatori.


Giardini curati pieni di fiori, grandi alberi antichi e stelle di Natale fiancheggiano la strada, una sosta per pranzare e la visita continua.
Una pagoda molto particolare è incastonata nella roccia, la Shwe U Min Paya, un ingresso maestoso dà accesso al camminamento coperto, a una foresta di stupa dorate, a statue del Budda sovrastato dal cobra e ci si trova di fronte ad un portale nella roccia con insegne luminose tipo Broadway che rovinano un po’ l’atmosfera. Ci siamo ormai scordati di essere all’interno di un’area militare.








Ecco la particolarità del tempio: centinaia di statue e di altari di ogni forma e dimensione affollano il dedalo di caverne che si estende sotto la collina, a volte sale ampie che si stringono in corridoi angusti tra pietroni, si sale e si scende sotto i riflessi delle statue dorate, sguazzando a piedi nudi(come sempre nei templi) nella fanghiglia che a tratti invade la grotta.










In alcune sale stalattiti e stalagmiti contendono lo spazio alle centinaia di Budda, è uno spettacolo incredibile, veramente una visione suggestiva.



Lasciamo la pagoda con un gruppo di monaci e ci avviamo verso l’albergo, questa volta i militari ci bloccano e a gesti ci fanno capire che l’accesso è vietato, dobbiamo prendere un’altra strada.


Di nuovo le palle da golf ci sorvolano e poi possiamo proseguire, ci sarebbe una seconda pagoda ma nel dedalo di strade tortuose che s’insinuano nelle colline e senza una carta dettagliata non riusciamo a localizzarla.





Dopo una pausa di riposo in hotel ci spostiamo verso il paese per la cena, ancora un paio di templi e il mercato ci sfilano accanto, curiosi visitiamo le poche bancarelle ancora in attività prima di proseguire alla ricerca di un ristorante.






Ci attira una pizzeria italiana dalla veranda arredata con gusto, è veramente italiana! Parliamo col padrone che ci racconta un po’ della sua vita in oriente, è nativo di Cremona, come la Lella, e si è sposato qui, cosa che probabilmente gli ha aperto le porte dell’attività commerciale.
Mangiamo bene, la pizza e il riso sono buoni, ma il prezzo pagato è oltraggioso per il tenore di vita locale, anche il caffè espresso era ok!
Una passeggiata ci riporta al nostro hotel alpino, prenotiamo il bus notturno che domani ci porterà verso il Golden Rock e anche oggi la giornata è terminata.


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