giovedì 8 gennaio 2015

Emozioni di 25 anni Soccorso Aereo

Emozioni di 25 anni Soccorso Aereo

Dopo il post intitolato: “Piccola storia di un pilota del Soccorso Aereo”, il SAR per i meglio informati, ho postato su facebook una vecchia foto che ha soffiato sulle braci mai sopite dell’entusiasmo di colleghi (anche nel Soccorso Alpino CNSAS) ed amici.
La pioggia di commenti mi ha fatto riflettere sul post precedente, ed indotto a scriverne uno non legato alla storia ma alle emozioni provate, le immagini emotive ricevute e le azioni viste e compiute.





Dopo un quarto di secolo passato al SAR, nei primi anni ad operare prevalentemente su mare e poi soprattutto in montagna il mio cervello ha registrato una valanga di immagini, suoni, emozioni, rumori e quant’altro l’insieme dei sensi riesce a trasmettere.
Devo riconoscere che, purtroppo, una quantità ancora maggiore di esse è andata perduta, ma sicuramente il senso e l’essenza del lavoro rimangono e ti marchiano dall’interno.
In estrema sintesi ecco cos’è stato per me a livello emotivo/sensoriale il lavoro di soccorso:
lo sguardo angosciato di genitori a cui stai andando a cercare il figlio disperso,
lo sgomento nel veder arrivare un bambino seguito da un frigo portatile in cui scopri c’è il suo braccio,
lo sfinimento dopo 14 ore di ricerca che ti fa crollare addormentato sul battellino di salvataggio del velivolo che ha portato il tuo sostituto,

gli sguardi dell’equipaggio che si incrociano e, senza parlare, si dicono che è molto al limite ma ci proviamo,

il trillo del telefono che ti sveglia in piena notte e fremente ti porta in volo,

l’elettricità che unisce l’equipaggio, gli operatori del BOC, i controllori del traffico aereo, gli operatori del Centro di Coordinamento, i soccorritori del CNSAS e tutti i coinvolti nell’operazione sino a farli lavorare in sincronia,

il sapore/odore metallico del sangue che inzuppa la fusoliera mentre con un getto d’acqua viene lavata,

la tensione sul viso prima di essere calato col verricello nell’ignoto della notte o di un fiume in piena zeppo di detriti,

le case sventrate da un terremoto o da una piena che ti guardano come case di bambole in cui tutto è congelato e le azioni sono rimaste sospese,

gli sguardi persi di anziani che vengono evacuati e non hanno più nulla,

l’immagine tragicomica di una mucca sul tetto della sua stalla in un panorama sommerso dall’acqua,

la sensazione di impotenza quando le condizioni meteo sono troppo ostili,

lo sdegno e la rabbia quando ti accorgi che un insulso politico locale sta giocando con la vita del tuo equipaggio e ti manda a rischiare per nulla se non la sua immagine,

le invenzioni improvvisate per riuscire ad operare quando era difficile il solo pensarlo,

la frustrazione negli occhi di chi rimaneva a terra perché era necessario ridurre il peso,

la pena nel vedere sotto di te un velivolo incidentato che brucia e ne percepisci persino l’odore di fumo ma non puoi nulla,

lo strazio di scoprire che un incidente si è portato via qualcuno con cui hai condiviso sofferenza, gioia, paura, il rischio della vita per aiutare qualcuno che nemmeno conoscevi,

mani che lavorano sotto la pioggia in un campo di calcio per risolvere un’avaria e  continuare ad aiutare gli alluvionati che ormai hanno lo sguardo stremato al pari dei loro stessi soccorritori,

la gioia esilarante che esplode da ogni poro alla conclusione di un soccorso finito bene,
provarci sempre se appena è possibile decollare e non lasciare nulla di intentato, tanto per rinunciare c’è sempre tempo,

sentirsi perduti quando le nubi si chiudono intorno a te in una valle e ti ritrovi bloccato a considerare di pernottare sul posto,

due occhi sollevati che ti guardano da un viso contorto dal dolore che sale lentamente all’altezza del portellone sollevato dal tecnico e avvolto nell’abbraccio del soccorritore,

la goccia di sudore che ti cade dalla punta del naso durante un verricello con le porte spalancate e la temperatura sotto lo zero raccontata da chi ti vede da fuori mentre sta salendo appeso al gancio,

l’ansia mentre in hovering, su un mare che sembra un calderone bollente, l’albero di una barca a vela frusta l’aria sotto di te salendo e scendendo sulle onde,

una spia rossa che si accende in un trasporto notturno in mezzo al mare nero come la pece,
il sorriso spiritato e la gioia nervosa di un collega appena recuperato che si è lanciato col seggiolino eiettabile da un jet,

....se sto a pensarci non finisco mai di scrivere, ma immagino che ce ne sia abbastanza per farsi un’idea.

Tutto questo ti lega indissolubilmente con coloro che hanno lavorato con te nella “macchina del soccorso” ed ancora di più lega i membri dell’equipaggio che si fondono in una comunione di intenti e condividono il rischio della vita per uno scopo sublime e disinteressato, aiutare qualcuno che è in pericolo.

2 commenti:

  1. Paolo per caso sono entrato nel tuo blog e leggere questo post che descrive un pezzo della tua vita professionale attraverso emozioni e ricordi mi ha riportato ai mesi passati a Naqoura e posso certamente dire che sono stato fortunato ad averti conosciuto e ti ringrazio per il servizio che hai reso al Paese. Auguro a te ed ai tuoi cari sempre il meglio e sempre nuova forza per affrontare le prossime sfide.
    Alfonso Picillo.

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    1. Ciao Alfonso grazie per l’apprezzamento, ti assicuro che il sentimento è reciproco e tra le persone che ho conosciuto a Naqoura senz’altro brilli per per doti umane e professionali. Un abbraccio affettuoso fratello. Paolo

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