martedì 5 luglio 2022

NOVARA - VALENCIA - SANTIAGO - OPORTO in bici dal 9/4 al 19/5/2022 PARTE 2

 PARTE 2                     VALENCIA - SANTIAGO



TRACCIA GPS 

Da Valencia a Granja de Moreruela camino Levante

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Da Granja de Moreruela a Faramontanos de Tábara

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Da Faramontanos de Tabara-Astorga

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Da Astorga-Triacastela

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Da Triacastela-Santiago

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Da Santiago di Compostela a Porto camino Portugués


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 21 aprile - 8 maggio 2022 

La sosta di Valencia è finita, caricare completamente la Teresa è quasi un trasloco, lasciato l'ostello attraverso il centro, ultimo sguardo dei monumenti, verso il tracciato del Cammino di Levante.  Un lungo rettilineo, che attraversa una sequenza di paesi, mi porta fino a Silla, dove incontro le prime indicazioni, prevalentemente frecce gialle, a volte qualche piccolo cartello stradale. Il nome dei villaggi spesso tradisce la dominazione moresca della zona. A tratti perdo le indicazioni e proseguo con la traccia di Komoot, ma sostanzialmente si segue la statale.


          

Mi sembra di essere al primo giorno di viaggio, sono tra distese d'acqua divise a scacchiera, incredibile, risaie anche in Spagna. In lontananza vedo il primo pellegrino che cammina davanti a me, piano piano compaiono lo zaino, la conchiglia appesa e scopro che è danese. Fortunatamente le piogge di ieri sono terminate, gocciola solo un pochino a tratti, da un cielo a pecorelle.  Dalla cima di una collina uno sguardo indietro mostra, lontana, un'ultima fugace visione di Valencia, le forme arrotondate della città delle arti e della scienza e il bianco pilone che sorregge il ponte.




Il paesaggio collinare si tramuta in enormi distese di aranceti e mi ritrovo nuovamente immerso in un'inebriante nuvola di profumi, al suolo montagne di arance, evidentemente l'economia comanda sulla raccolta e sui prezzi, che peccato, potrebbero essere provvidenziali per chi non ha acqua e cibo.




Si avvicinano i monti e a Xativa mi addentro in una valle. A tratti mi imbatto negli allagamenti creati dalle piogge degli ultimi giorni, spesso mi costringono a seguire l'asfalto e un guado troppo alto a cambiare strada. Da Canals ritrovo il tracciato a Vallada, un prato a strapiombo sulla vallata mi suggerisce di sostare sotto uno degli imponenti alberoni a riposare e scrivere. In zona ci sono indicazioni con conchiglie, frecce gialle, cartelli gialli del Cammino di levante e bordeaux del Cammino del Cid, tanti percorsi che si sovrappongono e s'intrecciano. 






Sono quasi convinto a bivaccare qui, ma c'è troppo movimento, quindi avanti ancora. Un allagamento, Moixent, mille uliveti dal terreno arato e fangoso, sembra non essere possibile la sosta, finché salendo verso un valico trovo il mio angolo su un terrazzamento in una valletta di fronte alla strada. Ho fatto tardi, cena fredda e letto.




La mattina mi riserva qualche km per arrivare al passo La Fuente de Figueras. Molti guadi e varianti, questo tratto non è molto entusiasmante, costeggiando ferrovia e autostrada. 




Almansa, dominata dal castello, costituisce una piacevole sorpresa dopo villaggi insignificanti e le strade pavesate a festa arricchiscono di colori il pittoresco paese



Il cielo coperto e il vento contro mi fanno compagnia mentre attraverso una campagna tutta coltivata, un po' di frumento ed enormi frutteti. Ci sono passaggi piuttosto faticosi e un attraversamento acrobatico sulla diga di un laghetto.




Curiosamente trovo indicazioni del cammino su un tratto di autostrada abbandonato, andando verso Higueruela distese di pietraie contendono il terreno a vigneti di piante scheletriche disposte con precisione geometrica. Una falesia di arenaria erosa dall'acqua è crivellata da scavi dall'accesso ovale, probabilmente cantine o ricoveri per gli attrezzi. 


A Higueruela c'è un albergue municipale dove mi sistemo anche se ho percorso meno km del previsto, il cielo nero e minaccioso mi aiuta a decidere.


Tempo di sistemarmi e il cielo si rasserena, mi fanno compagnia fino a tardi i musicisti della fanfara locale che provano al piano di sopra. La stanza è fredda ma il sacco a pelo è più che sufficiente per renderla confortevole.



La mattina un freddo pungente mi suggerisce di usare i guanti pesanti e il piumino, lascio le chiavi alla posada e dopo un cappuccino bollente pedalo a testa bassa contro un vento senza pietà. Il panorama è quasi piatto, ma un errore di navigazione mi porta in una zona cieca, attraverso fossi, sterpaglie e tubazioni di scolo delle acque sotto la ferrovia per tornare sul tracciato, ma devo arrendermi e tornare per un tratto, non si passa proprio. Una caccia al tesoro mi fa superare il problema tra mille stradine, ho le gambe tutte graffiate, le scarpe infangate e mi sento Indiana Jones ma sono finalmente in rotta, a Chinchilla sotto una pioggia a tratti. Il paese sembra Machu Picchu, ripido, aspro e contorto, trovare la strada per scendere nella giusta direzione è un'altra caccia al tesoro.



Raggiungo Albacete che non riesco a godermi per il vento impossibile, qualche foto ai monumenti e pausa al riparo di un giardino pubblico dove mangio tra gli strepiti di un anziano sordo e logorroico che parla con un amico sulla mia stessa panchina. 




Mi faccio coraggio e riparto, sempre sulla via di servizio accanto all'autostrada, a tratti arrivo a 7 km/ora, è veramente deprimente, mi pare di scalare il Mortirolo anche se davanti a me è un piattume. Mi dà una tregua un caffè in un distributore, peccato che quando sto ripartendo mi ferma una grandinata, aspetto un po' e al secondo tentativo è un acquazzone a fermarmi. La terza volta, nonostante ricominci a piovere non mi fermo.


La Roda è il primo paese dopo Albacete, da lontano vedo il campanile che sembra un miraggio, ma nonostante la velocità ridicola lo raggiungo. Passo accanto alla plaza de toros e più avanti, in centro, chiedo informazioni alla polizia per sapere se c'è un ostello e scopro che i locali sono all'arena dei tori. avvisano la sciura Maria che mi raggiunge lì e dopo una contrattazione con altre quattro persone già alloggiate mi sistemo. Per la prima volta incontro dei pellegrini che socializzano con fatica, sono spagnoli, due coppie della mia età circa, quattro parole educate e stentate completano i nostri rapporti.



Qualche foto nell'arena mentre la Teresa sogna di essere il cavallo di un picador e io un attempato Manolete senza codino, raccolgo i vestiti stesi che il vento ha sparpagliato ovunque e mi ritiro nella mia stanza piastrellata fino al soffitto che pare una macelleria.

Ancora una mattina ghiacciata, vado verso un cielo nero che fortunatamente avvicinandosi si trasforma in nubi sparse, a S. Clemente c'è la festa del paese e non c'è un negozio aperto. 




Passo Las Pedroneras, El Provencio alternando asfalto a lunghi tratti sterrati, fortunatamente senza fango e allagamenti. 


A Mota del Cuervo una zona museale raccoglie una serie di mulini a vento e sculture di metallo su un altopiano che domina il villaggio e offre un bel panorama.





Ancora sterrato verso El Toboso, La Puebla de Almoradiel e poco prima  di Villa de Don Fadrique una pinetina compressa tra un uliveto ed un campo giallo di colza mi invita al bivacco, ci sono decine di tane di coniglio, dormirò in compagnia.




Cielo sereno e mattinata gelida, 5° alle otto di mattina, fortunatamente almeno il vento oggi è a favore e col progredire della mattinata la temperatura si alza. Ci sono bei villaggi con castelli in rovina che dominano dai colli. Trembleque ha bei palazzi una cattedrale e la Plaza Mayor degna di nota.





Sul fianco delle colline si vedono ingressi di case troglodite dall'ingresso dipinto di bianco e blu e una serie di comignoli di sopra. A Mora in festa, il centro è pavesato da file di gagliardetti e carri carnevaleschi sfilano in piazza, i paesani di ogni età vestono camicioni arricciati che ricordano quelli dei pittori e fazzoletti al collo con motivi differenti, penso per le contrade o i quartieri.





Il tracciato mi porta lungo strade sterrate ad un maneggio e ad un laconico cartello che dice: area militare divieto di transito, ormai sono poco distante da Toledo, ma imbottigliato in un vicolo cieco, dovrei tornare per un lungo tratto. 



Decido di azzardare proseguendo per un po' e tagliando per la campagna verso il solo borgo nelle vicinanze vicino ad una strada, Las Nieves. Scopro che lasciando la pista militare si attraversano uliveti dal fondo sabbioso, non mi resta che spingere, ma alla fine, attraversando un fosso asciutto arrivo al villaggio. Da qui il solo modo di proseguire è imboccare l'autostrada per quattro km e prendere la prima uscita, altrimenti fare un giro di una trentina di km mi spiega un signore, qui tutti fanno così. In regime di democrazia faccio come la maggioranza, c'è una discesa incredibile, viaggio a più di 50 all'ora fino all'uscita e sono molto contento di averlo fatto. Google mi porta ai piedi del colle su cui sorge la città, un ascensore mi evita una parte della salita per arrivare alla cattedrale e poi all'ostello.




Nel pomeriggio inizia la scoperta della città che prosegue il giorno successivo. 





La visita alla Cattedrale dura parecchio merita veramente, dedico un'ora e mezza ad ammirare il coro, l'altare, le vetrate, le cappelle, il chiostro, la sagrestia, le statue, gli affreschi e i dettagli che la decorano. Alla Biblioteca Episcopale trovo la Credenziale, il documento di viaggio su cui apporre i timbri di passaggio che attestano il cammino percorso.











La giornata è calda e tra un monumento e l'altro una sosta all'ombra mi fa recuperare, molte le chiese.

ALCAZAR





Visito un'antica sinagoga, S. Maria la Blanca, che nei secoli è stata impiegata in diversi modi, tra cui scuderia reale. Ora, restaurata, si compone di un fitto colonnato e pareti bianche che sostengono la travatura in legno ed il tetto. Nel complesso è disadorna e oltre all'architettura mostra solo qualche decorazione geometrica vagamente arabeggiante.


Il museo El Greco, invece è molto più interessante. E' la ricostruzione dell'abitazione dell'artista decorata con opere pittoriche e artistiche in genere provenienti dalla sua fabbrica e scuola d'arte, statue, lavori in terracotta, dipinti e decorazioni d'ogni genere. 






Un passaggio al monasterio de S. Juan de los Reyes...





 poi, in bici, scendo alla Puerta del Cambròn, che dava accesso alla città, e all'antico puente de S. Martìn.




Attraverso il Tago sul selciato del ponte e mi arrampico sulla riva opposta per strappare una bella vista panoramica di tutto il colle di Toledo. 





Il cielo si fa livido e il brontolio dei tuoni incessante, ho aspettato troppo, qualche grossa goccia qua e là bagna l'asfalto. Seguo il lungo arco che il fiume disegna intorno alla città esponendo una veduta grandiosa, dopo mille soste fotografiche arrivo sull'altro ponte storico, quello de Alcantara, appena lo imbocco il temporale esplode violento e mi ritrovo al riparo sotto il torrione  prigioniero con una famiglia che festeggia la prima Comunione della figlia e qualche infelice turista.

Alla prima pausa volo verso l'ascensore per tornare in centro, appena in tempo per evitare la pioggia che si trasforma in cascata. Questa volta approfitto anche delle varie rampe di scala mobile che portano fino ai piedi dell'Alcazar. Ostaggio del diluvio ringrazio per la tettoia che mi ripara parzialmente per quasi un'ora mentre il vento infuria spandendo nubi di pioggia ovunque e il suolo è allagato da un palmo d'acqua.

Arrivo all'ostello bagnato come un pulcino, il temporale non smette mai completamente. A tavola incontro Douglas, americano di Pittsburg e Victor, uno studente spagnolo, comincia una chiacchierata fiume che dura parecchio e quasi dimentico di mangiare. Il primo ex chitarrista rock diventa contabile per avere un reddito certo, free clinker ha viaggiato e arrampicato in tutto il mondo finché una zecca gli ha trasmesso il Lyme che lo ha debilitato fin quasi ad ucciderlo, ora, dopo cinque anni e mezzo si è un po' ripreso, in pensione è al suo primo viaggio, dal Portogallo verso l'Italia e l'Europa dell'Est. Il secondo é un universitario e si mantiene dando ripetizioni e lezioni online.

Lasciare l'ostello a piedi, sulla stradina a gradini bagnata dalla pioggia, si rivela pericoloso con le placchette metalliche sotto le suole e il vicolo del Diablo e quello dell'Infierno dove passo sono adeguati alla situazione. 



Ripercorro la strada di ieri fino al ponte S. Martìn e via verso Torrijos sotto la pioggia che mi fa compagnia per un paio d'ore. 



Ad Escalona spesa e pranzo in un parchetto, un signore cerca di convincermi a percorrere una strada alternativa sterrata con un guado, ma dopo tutta questa pioggia non mi convince, resto sull'asfalto.



Temperatura buona e sprazzi di sole tra le nuvole sempre minacciose, vado spedito verso S. Martin de Valdeiglesia, panorama molto bello, monti coperti di pini ad ombrello e tanti prati ideali per il picnic, peccato sia tutto recintato. 




Rocce rossastre erose, arrotondate dal tempo e dagli elementi affiorano dall'erba fino agli 850m del colle dove una gran discesa mi porta a S. Martin, già da lontano si vede la possente fortezza a torri tonde. E' presto, sono circondato da un cielo da tempesta e non ci sono albergue in paese, è facile: proseguo verso Cebreros, dove so che c'è una struttura d'accoglienza ma è chiusa. Provo, magari con un po' di fortuna riesco a sistemarmi.


Altra salita e poi discesa, arrivato in paese mi indicano il posto, è adiacente alla piscina comunale, chiuso perché dedicato all'accoglienza di profughi ucraini. Una bella tettoia sul lato posteriore sarebbe ideale per piazzarci la tenda ma le ragazze in divisa della croce rossa sono irremovibili: "Non si può". 

Continuo ad arrampicare verso Avila quando un cartello del Cammino indica una mulattiera che sale sul fianco del monte, senza pensarci la imbocco e sono a spingere dopo dieci metri, il terreno è veramente impossibile per pedalare, piazzo la tenda su uno slargo del sentiero. I cani dei pastori strepitano poco più a valle ma non mene curo. Ho un terrazzo con vista sul paese e la valle, nella notte sento ululare un lupo tra i latrati dei cani impazziti.



La mattina il paese illuminato in basso sembra un presepe, ridiscendo in strada con la bici per mano e affronto i 40km che mi separano da Avila, la pendenza è accettabile e la fatica maschera il freddo, si viaggia bene, ormai sono allenato e non importa molto di andare in salita. 

Un bel panorama mi distrae e qualche leggera spruzzata di pioggia mi accarezza ogni tanto, qualche tornante ed ecco Puerto Arrebatacapas, un passo dall'impressionante nome andino ma di soli 1068m di quota.

Poco oltre un bel fonte di granito, con la superficie dell'acqua coperta di alghe dai delicati fiorellini bianchi, mi regala un rifornimento ghiacciato per le borracce. 



Sono ad un'altitudine da vegetazione bassa e pascoli, fiori gialli ovunque, nell'erba e sugli arbusti, mucche e vitelli bradi pascolano trai cespugli e i graniti arrotondati, sono a S. Bartolomè de Pinares. 




Mi scorre accanto il villaggio El Herradòn mentre salgo il fianco sinistro della valle, ricamo una serie di tornanti e sono al Puerto de el Boqueròn, 1315m. 




Scendendo verso Avila una mandria di bovini tutti neri pascola nel prato, i più vicini mi osservano, poco oltre un rigagnolo lucente serpeggia nell'erba tra grandi alberi maestosi, mi fa pensare alla poesia Rio Bo.


Un crinale contro luce, un albero e due sagome nere mi riportano alla mente la meraviglia dei Kudù nel cielo arancio al tramonto, non puoi far altro che fotografare, sperando di cogliere con l'obbiettivo quello che l'occhio e il ricordo miscelano in una magia.


La lieve discesa è annullata da un vento rabbioso, ma non mi importa, la città ormai è in vista, ingrandendosi è un po' deludente, una gran chiostra di palazzoni popolari maschera le guglie di una chiesa che svettano.



La scopro dal suo lato peggiore, nel centro appaiono le possenti mura di cinta ben restaurate fiancheggiate da viali e giardini, torrioni e archi le decorano, dando accesso alla cittadella; una quantità di piazzette palazzi statue e fontane si alternano, Avila è veramente interessante.



Appena fuori la Porta Bassa delle mura si trova l'ostello municipale, Las Tenerìas, che peno non poco a trovare, su Google maps non è riportato; telefono a Manuel, l'hospitalero, e mi raggiunge poco dopo per aprirmi la struttura e spiegarmi cosa fare. Nel mentre arriva anche Juan Carlos un pellegrino a piedi, un boccone, doccia e andiamo a visitare la città, per questa sera ho organizzato una spaghettata con Manuel e una sua amica che parla italiano.



Visita alla cattedrale di architettura gotica, il granito di cui è costruita mostra tracce rosse di ossido di ferro, è detto "insanguinato", l'effetto è suggestivo. Coro, altare, chiostro, museo e le cappelle sono molto belli e decorati pesantemente. 







Completo la visita della cittadella e rientro a preparare per la cena. Manuel porta un po' di ortaggi, prepariamo spaghetti al pomodoro e una bella insalata mista, Almudena, la sua amica che parla italiano è molto simpatica ma ha un impegno e non può rimanere a cena con noi. Serata conviviale innaffiata da una bottiglia di vino tinto con Manuel e Juan Carlos. E' sempre un piacere conversare con persone nuove, Manuel si dimostra un appassionato di storia e ci racconta molto dell'evoluzione della società locale nei secoli.



Lascio Avila la mattina presto quando l'erba dei pascoli è imbiancata dalle gocce di rugiada, tra gli alberelli e le rocce arrotondate si stagliano nere le mura contro il sole che sorge, un saluto a Juan Carlos che, partito prima di me, zoppica un poco per un dolore ad una gamba.






Il primo paese carino che incontro è Arevalo, nel mezzo di una pineta di almeno venti chilometri, ci sono monumenti, chiese, piazza medioevale, ponte ad arco e castello, proprio un bell'insieme. 








Un rudere di chiesa si trasforma in condominio per le cicogne che ammassano enormi nidi su ogni appoggio.



Dopo una serie di piccoli borghi Medina del Campo si distingue per i bei palazzi ed un castello molto ben tenuto, ora adibito a collegio. 











Nava del Rey è l'ultimo paese che vedo oggi, alla periferia un colle solitario emerge dalla mesa, sopra un santuario dedicato all'Immacolata concezione, ha una pianta particolare, altare al centro e due cappelle laterali. Una piccola pineta accoglie un parco giochi e tavoli da picnic. 






Ceno e leggo in attesa che i gitanti tornino a casa per accamparmi, quando arriva un gruppo di giovani armati di molte birre capisco che è meglio lasciare questo poggio dalla vista meravigliosa, al tramonto, su vigne villaggio e mesa per un posto più nascosto e meno frequentato.




La mattina una campagna di coltivazioni infinite che si estendono sulle colline irrigate da tubi sospesi su triangoli con ruote mi porta verso Castronuño. 





Il fiume Duero e Villafranca del Duero, il freddo dell mattino è passato e il cielo sereno è grigio di foschia, pedalo nel panorama uniforme fino a Toro che si staglia in cima ad un costone a picco sul fiume.



Prendo una stradina ripidissima dal fondo selciato che con sudore mi porta in paese, subito il castello (alcazar) e poi la Collegiata di Santa Maria la Mayor mi gratificano per la fatica. Il paese mostra la sua storia in ogni palazzo, la Plaza Mayor, la torre del Reloj e tanti vicoli pittoreschi.



Scendo di nuovo verso il Duero e arrivo a Zamora, una città dal centro storico affollato, è l'ora dell'aperitivo ed è sabato, la plaza  Mayor gremita di tavolini dei bar non ne ha uno libero. 







Oggi molto sterrato e parecchie salite, ma non è ancora finita, le colline si susseguono finché non trovo una pineta in cima a un colle che divide due campi arati, un vento furioso piega gli alberi e minaccia temporale, ma cala la sera e tutto si dissolve. 



Un nido sopra al mio albero accoglie gli uccelli più logorroici mai incontrati, hanno cantato sempre senza posa per tutto il tempo in cui sono stato sveglio, la sera e poi il mattino.  




Passata Montamarta si alternano asfalto e tanto sterrato, comincio ad incrociare qualche pellegrino, avanzo piano pedalando al fianco di due olandesi, parliamo e scherziamo parecchio, ma non ci siamo nemmeno presentati, un po' oltre lo stesso con due francesi, altra chiacchiera e ora un gruppo di otto, poi altri ancora.






Granja de Moreruela mi fermo per un cortado e chiedo informazioni circa il monastero cistercense di S. Maria di Moreruela di cui ho visto le indicazioni. 


Mi consigliano la visita, ed eccolo apparire tra pascoli e cavalli, un'estensione enorme di ruderi colonizzati dalle cicogne, è stato il monastero cistercense più grande d'Europa ed ha ospitato fino a 200 monaci, mi dice la custode. Ancora ben visibili parte della chiesa, la cripta e molti muri in rovina.








Il tratto di strada successivo è molto verde e immerso nella natura, poco dopo il monastero due caprioli attraversano la strada vicinissimi a me, saltando fluidi nel prato e scomparendo dietro un crinale. 


Termina la sterrata e sono nella valle del fiume Esla che attraverso su un ponte suggestivo.



Lasciato il tracciato del Cammino di Levante per un tratto del Sanabrese, salgo il fianco della valle in direzione di Tabara. Vado a trovare Antonella, un'italiana delle mie parti che, innamorata del cammino, si è presa una casetta a Faramontanos de Tabara, la "Casa azul y amarilla" e quando è presente ospita i pellegrini di passaggio. Sono già stato suo ospite nel 2016, salendo da Siviglia.


Una fortuna inaspettata mi porta a 50m dalla casa quando decido di telefonare per trovarla, praticamente ci vediamo parlando al telefono. Doccia, un piatto di pasta e passeggiata con Veronica in campagna per far scorrazzare i cani, i figli di Veronica sono al ruscello a raccogliere gamberi d'acqua dolce con gli amici, al ritorno pedalano come indemoniati verso casa. Il tempo sta volgendo al brutto, un the in compagnia e si torna alla casa AyA senza bagnarsi con Toby che trotterella felice. 

Lavatrice fatta, batterie di tutti i tipi sotto carica, diario in stesura, tracce gps scaricate, paella in cottura, Antonella esagera in ospitalità, un giretto dopo cena per la passeggiata di Toby e questa volta ci bagniamo, la pioggia si prepara per domani.

La notte pioggia, la mattina anche, dopo una colazione maxi saluto Antonella che è stata fin troppo gentile mi avvio verso il cammino Francese sotto una pioggerella che dura poco. 



Anche la salita verso Bretocino è meno ostica dei racconti, sotto un cielo coperto attraverso piccoli villaggi, tutti i negozi sono chiusi, ho scoperto che siccome la festa del lavoro cade di domenica la si recupera il lunedì...cioè oggi.

A Colinas de Trasmonte case scavate nel fianco d'argilla della collina, sembra di essere nel cartone animato dei Teletubbies, a Quiruelas de Vidriales un bar mi prepara un paio di pinchos e alla faccia della festa del lavoro mangio qualcosa. 







Alija del Infantado mostra una facciata singolare dell'ayuntamiento, orologio e appena sotto due manichini che mi guardano, una grande chiesa con campanile quadrato a Quintana del Marco e un castello a Villanueva de Jamuz. 





Le nubi iniziano a rompersi mostrando squarci d'azzurro e il sole filtra a S. Elena de Jamuz, a La Bañeza intercetto il cammino verso Astorga, sosta caffè e scopro che nella provincia di Leòn i pinchos nos si pagano, così fetta di ciambella gratis, un po' di foto in giro e riparto.





Alla periferia di Astorga un cielo nerissimo da diluvio universale 
mi sta di fronte, in città mi ritrovo di fronte alla statua del pellegrino e all'albergue S. Maria, collaudato anni fa, ho la fortuna di accaparrarmi l'ultimo letto e in cinque minuti inizia un acquazzone memorabile che oscura il panorama della terrazza.







La mia vicina di letto è italiana, Gloria, ed ha il compagno di Novara; la rivedo la mattina mentre visito i monumenti prima di lasciare la città, molto belli il palazzo di Gaudì e la cattedrale. 







Il cielo è ancora coperto e nel primo tratto incontro altre persone conosciute all'ostello. Miei compagni per tutta la tappa saranno Dario Pino e la figlia Belèn, uruguaiani, lui con una gran bandiera che sventola sulla bici, conversiamo col mio spagnolo stentato perché non abbiamo altra lingua in comune.





Questo tratto del percorso non è entusiasmante finché non si sale verso Foncebadòn, un po' faticoso ma il panorama tra i monti vale la pena. 


Il villaggio dalle case di pietra ha un aspetto alpino, parecchi pellegrini siedono ai tavoli a mangiare e riposare mentre continuo a salire verso la Cruz de Hierro, una esile croce di ferro montata in cima ad un palo di legno, parzialmente annegato in un gran cumulo di pietre portate dai pellegrini come pegno di penitenza per una richiesta di aiuto o una grazia ricevuta. 




Il luogo infonde pace ed è quasi sempre assaltato per le foto ricordo, non faccio eccezione e procedo verso Manjarìn, una specie di alpeggio che al mio ultimo passaggio era gestito da Thomàs l'hospitalero templario, ora lo sostituisce un simpatico e non meno singolare hospitalero che parla con i suoi gatti e li mostra ai passanti, appena arrivato mi offre un caffè e mi fa accomodare. Con me una signora, una ragazza e un bimbo addormentato nel passeggino, sono di Zurigo, mamma, figlia e nipote, tre generazioni in cammino. Nel pascolo accanto feci campo nel 2015 con un inglese e due belgi, vero cammino a piedi.






Affronto il resto del percorso da El Acebo a Molinaseca con Mark, un australiano di Brisbane, e due suoi amici spagnoli, mentre sostiamo a scattare foto conosco anche Domenico, motociclista di Norcia già incontrato prima.





A Molinaseca ci fermiamo tutti e quattro per una birra, i due spagnoli proseguono per Ponferrada e Mark mi racconta della sua vita in barca a vela per il mondo, diec'anni di navigazione con la moglie e dopo i primi tre anni anche la figlia, che è scesa dalla barca a sette anni. Abbiamo in comune la passione per l'elicottero. Parto anch'io e resta solo Mark, Ponferrada, castello, cattedrale e foto.





Cacabelos e, poco prima di Villafranca del Bierzo, sosta cena in un parchetto e bivacco in un prato accanto. 



La mattina si apre un nuovo capitolo, ripiegando la tenda un dolore fortissimo, che mi pare da nervo sciatico, mi assale da sopra al gluteo sinistro  fino a metà coscia. Carico la bici a fatica e subito una rampa ripidissima di sterrato. Mi fermo a Villafranca del Bierzo dopo nemmeno tre km per trovare una posizione che mi dia sollievo, ma sono costretto a bere in fretta il caffè e rimettermi in sella, non posso stare seduto e nemmeno in piedi per il dolore che mi toglie il fiato, anche in bici mi fa male ma è un po' più sopportabile.





Non so come trovo la voglia di fare qualche foto prima di lasciare il paese, la strada segue una valle boscosa in lieve salita, pedalo sperando che la fatica mi faccia produrre qualche magico antidolorifico naturale come le endorfine alleviando la sofferenza. Miracolosamente accade, forse basta crederci; dopo una trentina di km non sento che uno strano intorpidimento ma il dolore è sparito, ho persino paura che ritorni solo pensandoci.

Affianco due pellegrini baresi e parlo con loro per un tratto, poi il cammino si incanala in una stretta corsia a bordo strada delimitata dai blocchi New Jersey di cemento e li saluto. Pedalando pian piano mi risveglia un pettirosso fermo sulla linea di bordo strada, penso sia ferito, parcheggio la bici e lo prendo tra le mani, non reagisce, mentre lo sposto nella boscaglia vola per qualche metro. Tornando alla bici noto un capriolo a bordo strada in una posizione contorta con il ventre dilaniato, immagino investito da un'auto e sbranato da un lupo.




Da Vega de Valcarce la valle si stringe, Ruitelan e Las Herreras sembrano villaggi di montagna col ruscello che scorre tra i pascoli a bordo strada; ora si sale senza pietà verso La Faba, sono con Pieter un olandese leggermente più veloce di me, sbagliamo strada e ci tocca ridiscendere un tratto e seguire le indicazioni Laguna, qui la salita è ancora più ripida. Infine si arriva a O Cebreiro, un colle di 1296m di quota dove pranziamo in un prato su un tavolo da picnic con vista.






Il villaggio è poco più avanti, case di pietra, chiesetta, monumento ed una Pallonza, antica abitazione dal tetto in paglia. 





Mentre scatto qualche foto ecco passare i due spagnoli con cui ho pedalato ieri, loro sostano a mangiare io e Pieter continuiamo giù e poi su verso l'alto de S. Roque 1270m e ancora verso l'alto do Poio 1335m. Questa sera ci fermiamo all'ostello Refugio del Oribio a Triacastela e, colpo di vita, cena al ristorante.





La mattina ci separiamo, sono più lento a caricare la bici di Pieter ed anche ai pedali così si prosegue in solitaria. Il cielo è coperto da uno strato sottile e basso di nubi che avvolge le cime dei colli circostanti. 





Un tratto in salita mi porta ad un punto di ristoro molto caratteristico allestito nella corte di un casolare e sotto al fienile, un tavolo di vivande apparecchiato sul portone offre spuntini e frutta in cambio di un'offerta. Un nutrito gruppo di pellegrini mangia e beve riposando ai tavolini, parlo con tre italiane di Belluno, una di loro fotografa la Teresa come spunto d'allestimento per il marito interessa al cicloturismo. A gestire il Locale Simon, australiano da 7 anni in Spagna e Paula spagnola, curioso hanno il mio nome e cognome, sono due persone serene e piacevoli, bevo con loro un caffè con un biscotto, offerta e riparto.





Incrocio più volte Jimmy, uno spagnolo che corre con uno zainetto minimal a 30 km al giorno,  passa sei giorni sul cammino e poi ritorna a casa col suo minivan. 



Il tratto verso Sarria è sterrato a tratti ripido ed ostico, tra boschi antichi e misteriosi con alberi dai contorti tronchi secolari, il sentiero scavato tra sponde muschiose a volte è affiancato da un ruscello gorgogliante.





Dopo Sarria è la volta di Portomarìn che compare di fronte su versante opposto della valle, si scende da una carrareccia disastrata e si attraversa il ponte che porta di fronte ad una scalinata pietra bianca.







Due tornanti per me ed ecco la piazza, affiancata dai portici con la chiesa in mezzo. Ancora incontri, tre gentili signore di Verona che mi offrono il caffè e Gonzalo, cileno in viaggio da tre anni con equipaggiamento fiammante e Gopro in testa.






Altro attraversamento su un ponte diverso e sono a Palas del Rey, tratti di lastricato romano mi spezzano le reni, inducendomi a prendere l'asfalto. Un bosco d'eucalipti su tappeto erboso mi chiama, lascio il sentiero e allestisco il campo. Oggi è stato faticoso, il numero dei pellegrini è aumentato di molto, bisogna continuamente fermarsi e ripartire, in piano passi ma in salita è dura.




Il mattino incrocio Jordi mentre lascio il bosco immettendomi nel sentiero e diventa il mio compagno di viaggio della mattina, è un giovane di Gerona, parla bene l'italiano e viaggia in MTB praticamente scarica. Si parla un sacco anche se nelle salite il fiatone mi fa ascoltare soltanto. Il percorso si fa sempre più affollato e quando la sterrata affianca la strada con rampe di ghiaia lo saluto e continuo per un tratto sull'asfalto.



Passo Arzua, e, vinto dalla gola, mi fermo in una pulperia a O Pedruoso, dove mi abbandono voluttuosamente ad un piatto di pulpo alla gallega, in cui intingo un intero cestino di pane fragrante, e ad un bicchiere di radler. Un messaggio di Antonella, affranta, mi fa saper che il povero cagnolino Toby è stato aggredito ed ucciso da due cani da pastore. La chiamo per tentare di consolarla ma è un'impresa impossibile.



Il cammino nella calura del mezzogiorno è abbastanza deserto, mi consente di viaggiare con più tranquillità e ritmo, si gira attorno all'aeroporto e poi ecco Monte do Gozo con monumento parco e sculture. 




Entrando in Santiago il percorso si ripopola e arrivando nel centro storico sono immerso in un flusso. Arrivo dal Seminario Mayor e, attraverso l'arco con piccola galleria dove sempre le note di una cornamusa accolgono i pellegrini, si arriva nella Piazza do Obradoiro in fronte alla Cattedrale di Santiago.



Lo spettacolo è insieme commovente ed esilarante, una folla eterogenea di persone a piedi e in bici, ole o in gruppo che si siede, si sdraia, ammira, fotografa, salta, canta ed esprime la gioia del traguardo raggiunto nelle maniere più disparate. La facciata della cattedrale, sgombra dalle impalcature che in interventi differenti la mascheravano, si mostra in tutta la sua bellezza e lo splendore del dopo restauro.


Trovo il mio spazio e mi faccio scattare una foto con la Teresa da una ragazza, mi unisco alla folla seduta sul selciato e per un po' resto ad ammirare il gotico fiammeggiante dei decori, le cupole e i monumenti intorno. Un passaggio a ritirare la Compostela, quest'anno molto tecnologico il sistema d'accesso con QR code, applicazione, modulo e infine numero di precedenza per recarsi allo sportello a ritirare il certificato. Poi vado a cercare alloggio al Seminario Menor, una struttura enorme dove sono già stato, è quasi impossibile non trovare posto, infatti mi sistemo per tre notti.




Metto la bici nel deposito e mi godo le comodità della civiltà. Due giorni e mezzo di visitare monumenti, piazze, bighellonare, assistere alla Messa del Pellegrino con suggestivo ondeggiare sibilante del Botafumeiro, osservare e fotografare la gioia dei pellegrini alla meta, conoscere e parlare con tante persone.














Statistica del viaggio:

                           

giorni trascorsi: 30 

giorni di sosta: 6 +1/2

forature: 1 anteriore

traghetti: 2, St. Louis du Rhone, Aigues Mortes

pernottamenti in tenda: 16

pernottamenti in casa: 2

pernottamenti in ostello: 12

giorni di pioggia: 2 (in sosta) + 2 mattine in movimento

dati da Strava

Km percorsi: 2702

tappa più lunga: 170km

dislivello positivo: 20023m

dislivello giornaliero maggiore: 1721m

calorie: 39417 (non si tiene conto di peso bici e vento)

tempo ai pedali: 173h 43'

velocità media in viaggio: 16,2km/h