giovedì 7 marzo 2019

Myanmar 18 Kalaw > Kyaiktyo(Golden Rock)

18 novembre 2018        Domenica       G18          Kalaw > Kyaiktyo(Golden Rock)


Colazione all’aperto, i tavoli sono apparecchiati sul giardino antistante le ville di legno, immersi nei fiori e a sbalzo sulla strada, circondati da magnifici alberi.
I camerieri escono in continuazione dalla cucina portando sempre nuove pietanze, triangoli Somoza, uova strapazzate con bacon, terrine di macedonia, frutta fresca, yogurt con cereali, pane burro e marmellata, plum cake e caffetteria. 

                           

Con la pancia piena partiamo alla scoperta del paese, che ancora non abbiamo visitato, lungo la strada incontriamo la Hsu Taung Pye Paya, una serie di stupa dorati accolgono i visitatori e subito dietro un gruppo di giovani monaci gioca spensierato, è domenica anche per loro.



Nel tempio un gruppo di bambini canta e viene istruito dalla maestra, sembra di assistere ad una lezione di catechismo da noi e la gioia è la stessa alla fine, tutti corrono fuori urlando e ridendo, alcuni s’imbarcano sullo scuolabus, altri si avviano a piedi sciamando attorno a noi.






Poco oltre un palazzo dalle tegole rosso scuro decorato con fregi dorati sembra essere l’equivalente della nostra canonica, dove vivono i monaci.


Un piccolo tratto di strada ci conduce di fronte al mercato.


Un’altra pagoda riluce come un lingotto, tutta coperta da un mosaico di specchi che incrostano il fondo dorato, nome impronunciabile, Aung Chan Tha Zedi, colpita dal sole è una visione abbacinante nonostante non sia molto grande. All’interno una fedele prega al cospetto di un Budda ascetico.




Dall’altro lato della strada una calca di persone affolla il mercato, coperto da un’immensa tettoia accoglie decine di bancarelle e chioschi, diviso in settori con mercanzie differenti ci si trova ogni tipo di merce.








Carni, verdure, frutta, spezie, pesce, cibi cotti, tessuti, abbigliamento, scarpe, oggetti, monili, ristorantini, mentre l’elettronica e i souvenir sono in piccole botteghe che guardano la strada principale. Visi dai lineamenti diversi, abbigliati nelle maniere più disparate osservano le merci e comprano, è un crogiolo delle tante etnie presenti in Birmania.










 Andiamo a caccia dell’agenzia di viaggi dove la ragazza della reception ci ha prenotato i biglietti del bus per questa sera, trovarla si rivela complicato perché, pur essendo sul viale principale, si tratta di un chiosco con tavolino e ombrellone. Comprendersi con la signora è altrettanto difficile, paghiamo e ce ne andiamo non completamente sicuri di aver chiarito i dubbi ma sfoggiando la placida tranquillità dei locali.
Nonostante siamo in collina il sole del mezzogiorno è cocente, ci rifugiamo sotto la veranda di un ristorante a sorseggiare frullati di frutta mentre osserviamo il movimento incessante nel mercato proprio sotto di noi, assaggiamo piatti sconosciuti in cui si riconoscono solo il riso e della frutta, tutto il resto è un mistero.
Quando il sole è meno cattivo affrontiamo la salita verso il monastero Tein Taung paya, una lunghissima scalinata coperta serpeggia sino in cima al colle. Il tempio non è gran che, statua dorata, campana con batacchio di legno e attorno una serie di cani piuttosto male in arnese sono sdraiati senza forze per la calura; un gruppetto di bambine si diverte un mondo con microfono e altoparlante, chiedono offerte per il tempio ma si atteggiano a disk jockey.
La calura è ormai meno intensa, si è fatta l’ora di tornare in hotel, prepariamo i bagagli e ci sediamo al fresco della piccola hall ad aspettare l’ora di partenza del bus.  Inganniamo il tempo parlando con un signore francese che quando scopre che siamo italiani ci rivela le sue origini di Avellino e abbandona il francese, anche lui è un campeggiatore, abbiamo molti argomenti comuni, ci scambiamo impressioni sul Myanmar e il tempo vola.
Arriva il taxi che ci porta alla fermata del bus, incontriamo persone già viste e per poco non perdiamo l’autobus che è già arrivato da Taunggy e sta aspettando noi, ci imbarchiamo in fretta e furia e si parte immediatamente.
La prima parte del viaggio è tra tornanti continui che ti sballottano a destra e sinistra, in meno di un’ora cala l’oscurità e perdiamo l’intrattenimento del panorama. Alle 10 di sera si fa una sosta snack e toilette con ripartenza in meno di mezz’ora. Fortunatamente la strada ora è un poco migliore, ma dormire è veramente difficile a causa di un’ insistente bip bip che sembra l’allarme dell’elettrocardiogramma piatto. Poi la radio, probabilmente per tenere sveglio l’autista, ad un volume da elettroshock, il tutto in un freddo polare, tanto l’aria condizionata è gratis!
Sopraffatti dalla fatica alla fine perdiamo i sensi.


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