martedì 5 marzo 2019

Myanmar 15 Nyaung Shwe

15 novembre 2018        Giovedì                    G15                     Nyaung Shwe


La giornata inizia con la solita colazione da re e prosegue con la gita in bici programmata.
Con le biciclette messe a disposizione dall’hotel pensiamo di costeggiare un tratto del lago, traghettare sull’altra sponda e ritornare a Nyaung Shwe.
La partenza è un po’ complicata dal fatto che il custode del parco bici dopo averci assegnato i mezzi, pur non capendoci nulla vuole regolarci sella e posizione, è gentilissimo ma negato, alla fine ce ne andiamo e dopo qualche centinaio di metri facciamo una sosta per metterle a punto.
Una delle due ha i pedali che cigolano molto, non danno l’idea di scorrere bene, visto che sono il ciclista allenato di famiglia tocca a me. Superato il ponte che domina il porto seguiamo la strada che costeggia il lago in senso antiorario. E’ molto dissestata con buche enormi, ai lati molte bancarelle e chioschi vendono snack e cibo di strada sotto l’ombra dei filari d’alberi che corrono sul ciglio.
Il traffico ci preoccupa un po’, auto e motocarri affollano lo stretto nastro d’asfalto, le condizioni migliorano allontanandosi dal paese.



Alla nostra sinistra qualche campo, paludi e canneti che sono le rive del lago, mentre a destra coltivazioni e acquitrini ricoperti di fiori di loto sono popolati da contadini che lavorano instancabili.




La temperatura è piuttosto alta e il cielo è coperto, una lunga salita ci vede costretti a spingere le due ruote nell’ultimo tratto, fino a raggiungere le pendici dei colli che costeggiano il versante occidentale. La necessità di mantenersi alti per evitare le paludi costiere fa della strada un continuo saliscendi che serpeggia sui fianchi dei pendii, il viale alberato ha lasciato il posto a un nastro tortuoso nella foresta.
Molti bar con tettoie di paglia offrono ombra e ristoro ai turisti, il cielo si fa sempre più cupo e noi non abbiamo bisogno di ombra.
La Lella non è molto contenta della pedalata, le avevo prospettato un comodo giro in pianura e non è esattamente ciò che abbiamo trovato, ma il panorama è comunque bello, siamo lontani dalle aree più frequentate dai turisti e questo lo rende più vero e suggestivo.
Non faccio in tempo a finire la frase: “finisce che piove” e le prime gocce vengono subito rilevate dal sensore sopra la mia testa, la zona senza capelli. Dalla prima goccia allo scroscio di catinelle d’acqua passano a stento venti secondi, la fortuna ci assiste, se così si può dire, una capanna/bazar in paglia e mattoni che abbiamo appena superato ci accoglie sotto l’immancabile tettoia.
Sembra un diluvio, il cortile si trasforma in una fangaia in un baleno, ci guardiamo sconsolati non sapendo cosa fare mentre dall’uscio ci osservano attenti un bimbo e una bimba con i visetti curiosi dagli occhi neri.  In un attimo diventiamo amici mentre la mamma e la nonna ci offrono di sederci all’interno, davanti al banco di vendita. Mentre le donne continuano le loro faccende inizia uno scambio, dopo che la Lella regala qualche pennarello e qualche caramella ai due folletti. Il bimbo comincia a portarci giochi, piccoli oggetti e snack sottratti alle riserve del negozio. Oggi abbiamo partecipato al quotidiano di una famiglia malese conosciuta due minuti prima, sono cose che accadono raramente vivendo in una città occidentale, anche in Italia, nonostante si dica che gli italiani sono molto aperti.
Nel mezzo dello scroscio appare anche un ragazzo che ci aveva sorpassato poco prima in mountain bike, lo spazio ristretto ci fa socializzare immediatamente, è Abe, di Seattle USA, la sua bici a noleggio ha rotto la catena ed ora la pioggia, non sembra essere la sua giornata fortunata, ma lui non se ne cura e sorride allegro.
Rapidamente come è venuto il temporale scompare lasciando pozze enormi dappertutto, salutiamo Abe che riparte prima di noi, anche lui vuole traghettare, e con calma ci mettiamo a serpeggiare attorno alle pozzanghere.
Poco oltre incrociamo un gruppo di francesi che vanno nella nostra direzione, la quiete dura solo un quarto d’ora, siamo di nuovo sotto la tempesta, “Riders on the storm” ma ancora una volta una provvidenziale tettoia di bar ci viene in aiuto, questa volta siamo al riparo con i francesi. Mentre guardiamo la pioggia scendere un gruppo di uomini accanto a noi gioca a carte, la classica partita a scopa del Myanmar sotto i goccioloni che martellano le lamiere del tetto.
Di colpo il rubinetto si chiude e siamo ancora in sella diretti in gruppo a Kaung Dine, un villaggio di pescatori dove è possibile trovare una barca per la traversata. Lasciamo la strada diretti al gruppo di capanne, al gruppo si uniscono anche Abe e un ciclista asiatico spuntati dal nulla. Troviamo delle persone con cui contrattare il prezzo della traversata, i quattro francesi sono i più veloci e spuntano anche il prezzo migliore, mentre noi quattro rimasti cerchiamo di ottenere lo stesso prezzo, l’asiatico si mostra molto accanito a contrattare.
Anche Abe non sembra disposto a cedere, finchè non gli faccio notare che stiamo lottando per trenta centesimi a testa e la ragione ci fa accettare il prezzo.


Gli altri sono già partiti mentre noi aspettiamo che il fondo della nostra pinassa venga svuotato dall’acqua, finalmente imbarchiamo le bici mentre un inquietante ragazzo sovrappeso dai capelli a criniera, tinti di un bel color polenta, si mette al timone, sembra un affiliato alle gang di New York col viso che pare non conoscere il sorriso.


Accucciati sul fondo della barca e riscaldati da qualche raggio di sole che buca le nuvole nere, ci dirigiamo verso la sponda opposta scattandoci foto a vicenda mentre il vento ci scompiglia i capelli (agli altri non a me). 





Abbiamo la fortuna di traghettare all’asciutto, si arriva alle palafitte tra la vegetazione galleggiante e al lungo pontile di legno di Maing Tauk dove veniamo trasbordati.





Sull’altro lato del canale un colorato ristorante palafitta con terrazza ci attira, i francesi sono già lì, decidiamo di unirci a loro, salutiamo Abe che parte subito e il “cinese” che sembra indeciso sul da farsi.







Dal ristorante una ragazza attraversa in canoa il canale per venirci a prendere e scopriamo quanto delicato e instabile è l’equilibrio su questi gusci.



Mangiando patatine fritte, vermicelli alle verdure e insalata di foglie di tè scopriamo che i francesi sono una coppia di fidanzati che stanno facendo il giro del mondo e si sono incontrati con i genitori di lui che li hanno raggiunti per trascorrere le ferie insieme.




 Ancora una traversata sulla canoa scavata in un tronco e siamo sulla passerella, giusto il tempo di montare in sella e sta piovendo di nuovo. Decisamente la fortuna ci aiuta, sul ponte ci sono tettoie di legno con le panche ogni duecento metri, rimaniamo con altri turisti e locali a guardare le gocce sull’acqua e sulle palafitte in attesa di una pausa.


Passiamo accanto ad un variopinto caffè che raccoglie fondi da destinare all'istruzione dei ragazzi ed ha come tema le biciclette.




Il tratto successivo non è molto lungo, passiamo accanto ad un tempio dorato e saltiamo la visita
alla casa vinicola, fortunatamente, quando un nuovo acquazzone esplode in goccioloni pesanti.





Questa volta ci salva una tettoia di bamboo che pare una fermata d’autobus, è davanti al cancello di una scuola privata dall’architettura veramente insolita. C’è via vai di auto che caricano i bimbi alla fine delle lezioni e di genitori che sotto l’ombrello si muovono tra le pozzanghere.
L’ultimo strappo ci permette di raggiungere l’hotel all’asciutto, ma prima pancakes al cioccolato e frullati di banana e papaia al bar di fronte.

Doccia e meritato riposo prima della cena che conclude la giornata.

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