giovedì 19 luglio 2018

ISLANDA GIORNO 12 - 23 maggio '18

ISLANDA GIORNO 12 - 23 maggio '18


Ieri la stanchezza mi ha fatto addormentare troppo presto, a mezzanotte sono già sveglio, complice anche lo sbatacchiare del vento sui teli e il passaggio di un'auto sopra la mia testa, come sempre c'è molta luce, il cielo è sereno e mi strappa una foto.


Impiego parecchio ma riesco a riaddormentarmi, non ho distrazioni di nessun tipo, questa zona non è coperta dal segnale telefonico, posso solo leggere le cose salvate nel telefono.
Dopo una serie di pisolini a singhiozzo decido che è ora della colazione, sono stanco di guardare per aria.
Fuori non fa così freddo, si può stare con la maglia leggera, queste di lana merino sono eccezionali, una vera scoperta, calde abbastanza, ti lasciano la pelle asciutta quando sudi e non prendono la puzza del gatto morto a bordo strada dopo mezza giornata che le indossi.
Ieri sono anche riuscito a riparare il cavalletto che il vento troppo forte mi aveva rotto, il tubetto per la riparazione dei pali della tenda è finalmente servito a qualcosa. In un paese come l'Islanda dove non travi quasi mai nulla per appoggiare la bici il cavalletto è molto importante, ne sento la necessità per la prima volta in tre anni, aiuta moltissimo soprattutto per caricare i bagagli.


Finalmente pronto a muovere mi arrampico sopra la strada che mi proteggeva dal vento e appena sopra eccolo ad attendermi come un fedele cane da guardia che cerca di impedire la mia avanzata.
La giornata è bella e il monte piatto e innevato davanti a me merita qualche foto, come il ponte sospeso di metallo bianco poco oltre.



Sulla statale1 ho il vento a sinistra, fatico molto a procedere, di lato offro una resistenza al flusso d'aria che mi fa andare come un apriscatole, sotto le raffiche, dal centro al bordo strada incessantemente, per fortuna è piuttosto presto e ancora non passano automezzi.
Supero il bivio per la 862, la strada che porta a Dettifoss sull'altra riva del fiume, sarebbe meglio imboccarla, ma sono rimasto a corto di viveri e senz'acqua, qui non troverei nemmeno un negozio d'alimentari per due giorni.



Questi 11 km dal ponte sono stati un tormento, altri venti nella stessa direzione mi aspettano per raggiungere il bivio che porta al vulcano Krafla, sono un incubo a bassissima velocità e ad altissimo rischio per il traffico che ora comincia a risvegliarsi.



Ho imparato che quando sento arrivare un camion o lo vedo di fronte devo rallentare fino a fermarmi, perché incrociandolo improvvisamente mi ripara dal vento  e il manubrio, che lo sta contrastando, mi porta con un guizzo in mezzo alla strada, sono piuttosto preoccupato ma alla fine il supplizio termina e verso il vulcano viaggio di gran lasco, spinto come un proiettile anche in salita.



Lascio la larghissima valle con colline basse e pietrose e i monti isolati piatti e coperti sulla sommità da un tappeto di neve per imboccare una valletta più stretta, i sette km passano in un lampo e dopo una curva comincio a vedere il fumo della centrale geotermica.


Un piazzale desolato, sulla destra della strada, è decorato da una doccia e un lavandino campo aperto, come un'opera della Biennale di Venezia sembrano fiorire dal suolo attraverso le tubazioni, la doccia scarica un getto continuo, sicuramente d'acqua calda, portato a cadere lontano dal vento, oggi non è giornata per collaudare il "bagno in pubblico", troppo freddo per un ciclista senza ripari.


Lontano si vedono le installazioni della centrale, tubi passano come un giogo sopra la strada e un rivolo fumante giallo ocra le scorre al bordo, fumarole qua e là sul pendio a destra, Di fronte il nero minaccioso del vulcano.





Improvvisamente la strada s'impenna in una salita che penso di non riuscire a vincere, tanto è ripida, mi sbaglio, stravolto ma riesco a superare il terrazzo, poi si addolcisce e porta al piazzale appena sotto al "viti" il cratere del vulcano. Abbandonata la bici proseguo a piedi verso l'orlo, solcato da un sentiero che lo segna tutto intorno, scelgo di andare verso destra per essere a favore di sole ed avere foto migliori, la gamba già provata dai pedali non merita di farsi il giro del cratere.





Sotto di me un lago verde riempie la cavità ed è parzialmente coperto da una spessa coltre di ghiaccio, iceberg galleggiano come tavole in fondo al precipizio nero, di fronte il cratere è costellato di pinnacoli di roccia nera, mentre la gran parte della circonferenza è composta di terra pietre.


Quando arrivi ad affacciarti al lago sei sottoposto ad uno spettacolo mozzafiato, un po' per il precipizio ed un po' per il repentino cambio di scenario dal nero e blu di pendio e cielo ai colori splendenti del lago sotto il sole.



Ci sono crinali solforosi tinti di tante tonalità dal bianco al giallo al rosso, pozze d'acqua dai colori sgargianti e un vento che sull'orlo del cratere rende difficile avanzare.


La discesa in bici è quasi comica, nonostante la pendenza vertiginosa devo aiutarmi con i pedali, i freni non servono, una puzza di uova marce si leva dagli scarichi della centrale e dalle pozze di fango grigio ribollente, portata dal vento lungo la strada.



Tornare fino alla strada principale è una faticaccia, ma con pazienza ci arrivo e poche centinaia di metri dopo sulla sinistra un lungo crinale tutto giallo mostra pennacchi di fumo ovunque quasi fino alla cima, altra sosta ad osservare i grigi fanghi ribollenti e le fumate bianche che si levano da cumuli di pietre, anche qui il suolo è colorato dai depositi minerali di acque e fanghi.ù











Visitato il sito si prosegue verso il lago Myvatn che è proprio dietro la montagna gialla, un'altra salita vertiginosa col vento di traverso mi arresta un paio di volte, per paura di finire contro le auto in sorpasso, arrivati al valico la veduta è spettacolare, nella piana una pozza azzurro turchese subito sotto, dritto davanti il lago e a sinistra un cono vulcanico che pare di sabbia e sorge dalla pianura isolato e solitario.




La visione è ancora migliore dalla terrazza della piscina termale che sorge poco più avanti, tra il vapore liberato dall'acqua calda. Il bar con vetrate panoramiche sulla piscina mi offre un'occasione di riposo e di contatti col mondo, finalmente al riparo dalle folate impietose e dal freddo.


Tappa sucessiva Griotaji, sito termale dove le pozze sono sprofondate sotto una falesia di roccia scura, ogni tanto si apre un anfratto che mostra un laghetto sotterraneo illuminato da suggestive sciabole di luce che accendono di verde e blu cupo l'acqua, purtroppo non balneabile perché troppo calda. Qui incontro tre ragazzi italiani, ogni rara occasione è buona per spiaccicare due parole nella lingua, ormai dimenticata, di casa.




Proseguo seguendo una strada sterrata che serpeggia tra pascoli e residui pietrosi ci colline moreniche, verso sud il cupo cono vulcanico che da vicino mostra le sue dimensioni tutt'altro che modeste, s'intravede un sentiero grigio che segna il fianco nerissimo, purtroppo non me la sento di fare la camminata fino in cima, è ancora troppo presto per la gamba.


Tornato sull'asfalto incrocio un campeggio vicino al lago, ma fuori dal paese di Rejkyalid e decido di fermarmi. Il ragazzo alla reception è gentilissimo e mi fornisce una quantità di informazioni,





consultando il web per gli aggiornamenti, scopro che la strada incrociata per Dettifoss è chiusa oltre la cascata quindi il giro Asbyrgi - Husavik sembra impossibile. Accidenti vedrò come fare, qui tutto è impossibile di ciò che ho programmato!
Nel frattempo mi installo, mi doccio e assalto la grande cucina e l'ancor più spaziosa sala da pranzo per la cena. Ho visto cose veramente stupefacenti in questa giornata, anche se faticato parecchio e percorso poca strada.

Oggi 63 km



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