mercoledì 27 giugno 2018

ISLANDA GIORNO 04 - 15 maggio '18

ISLANDA GIORNO 04 - 15 maggio '18


E' sempre una fatica alzarsi la mattina quando si è in viaggio, ma oggi sto peggio del solito, devo aver esagerato, tutte queste ore di luce ti fanno perdere la misura.


Ripiegato tutto mi rendo conto che niente è della giusta misura, il sacco a pelo non entra nel rotolo e la tenda nel suo sacco, anche perché ci ho dimenticato all'interno occhiali e pila frontale. 
Non mi resta che armarmi di pazienza e rifare tutto, ci sono giornate così.
Ci ho messo una vita ma finalmente tutto è in ordine e all'alba delle otto e mezza riesco a lasciare il greto del torrente.


Non mi ero nemmeno accorto di essere arrivato ad un passo da una delle cascate più conosciute d'Islanda, Skogafoss, ma non è tutto, accanto al parcheggio c'è un bel prato con alcune tende, si può fare campeggio libero con le toilette a disposizione e lavelli con acqua potabile.


Sopravviverò  anche a questo, del resto non avevo bisogno di nulla. 
Il sito è meno caratteristico della cascata precedente, anche se il volume d'acqua è enorme e romba come un tuono.


Qualche foto e mi rimetto in strada, poco più avanti c'è il parcheggio dove inizia l'avvicinamento al relitto d'aereo sulla spiaggia.
Per i turisti in auto è una scarpinata di 4 km sulla pista sassosa che, avvicinandosi al mare, diventa sempre più sabbiosa e nera. 
Accompagnato dal vento il mio progresso è rapido, nel primo tratto pietroso devo fare attenzione a non esagerare perché le vibrazioni diventano fastidiose, poi nelle sabbia devo faticare nonostante il vento in poppa.
Supero un po' di turisti a piedi e ne incrocio qualcuno al rientro, alcuni mi guardano con un misto d'odio e invidia perché non devo camminare nel totale deserto per oltre mezz'ora (ma non considerano che, mentre viaggiano in t-shirt nel calduccio della loro auto, io lotto senza quartiere con gli elementi di cui loro nemmeno hanno coscienza, conquistandomi ogni meta chilometro dopo chilometro e godendomela dieci volte di più).
Una conca porta al relitto che, chiaro, sul nero della sabbia, ha un che di sinistro, come una balena spiaggiata e dilaniata dagli squali gli mancano le ali e la coda.


Il quadro è veramente suggestivo, il mare color turchese, la spiaggia color carbone, un cielo di cobalto solcato da cumuli candidi e il sole che delinea i faraglioni di Dyrholaey in lontananza di fronte alla scogliera a strapiombo.

Mi metto a fare un giro d'orizzonte rapito dallo splendore del panorama, dai bellissimi contrasti e dalla luce cristallina che sembra il risultato di un eccesso di post produzione della realtà, un Photoshop naturale, che non potrai mai cogliere con le lenti, solo gli occhi ti possono donare questi scorci memorabili.


Una coppietta francese mi toglie l'impaccio di trafficare con treppiede e autoscatto correndo come una lepre ed io ricambio volentieri il favore.


Rimango solo per un po' sul luogo dell'antico crash landing sentendomi come il pilota dell'epoca, un po' sopravvissuto e un po' desolato per la perdita del velivolo, il sibilo del vento e la solitudine sono magici in questo luogo che mescola la natura e la mano dell'uomo vinta dagli elementi.
Tornare alla strada mi costa una fatica notevole sul terreno soffice lavorando di bolina.



Una ventina di km mi portano verso le scogliere di Dyrholaey, la deviazione dalla statale 1 verso il mare è battuta da un vento impressionante, mi fa scalare le salite come un missile e in un tratto sulla laguna prova a buttarmi a mollo più volte soffiando di lato.


Una pista porta in cima alla scogliera più alta per osservare i nidi degli uccelli marini, ma la pendenza impressionante e il fondo di grosse pietre smosse dalle auto mi fanno desistere dall'impresa.
Arrivo ad un'area di parcheggio che offre la vista della scogliera e dei faraglioni forati dagli archi da un lato e della nera spiaggia verso Vik con le arcigne dita di roccia che spuntano dal mare dall'altra, camminando mi capita di parlare con una ragazza francese che alla fine scopro essere lontana parente di un amico, questo viaggio non finisce mai di sorprendermi.



Mangio uno skyr al riparo delle belle toilette pietra e cristallo ampiamente disertate perché a pagamento, sono il solo angolo di questo mondo dove non sei maltrattato dal vento.
Il ritorno sulla statale è una penitenza, fatico a stare in strada, e una persona piedi è in grado di superarmi agevolmente, peccato, perché il cielo è blu ed il sole splende.
Finalmente sulla Ring road ho il vento a favore e per il tempo di un sospiro sono felice, anche il panorama è bello, poi, in un attimo il tempo cambia e la strada s'impenna. Prima grosse gocce mi frustano la pelle del viso e poi diventa una tempesta di neve mentre la strada assume una pendenza che solo la forza di volontà oltre al rapporto più corto del cambio, che pensavo non fosse possibile utilizzare, mi portano in cima, ad una velocità così ridotta da aver difficoltà a stare in equilibrio.
Aggirato questo grande ostacolo di roccia si entra in una valle angusta che scende ripida verso Vik.


Il paese non è niente di speciale, solo la sua costa è veramente suggestiva.
Alla periferia una zona commerciale offre prodotti locali in lana, pietra ed osso lavorati oltre al solito enorme quantitativo di gadgets da due soldi. Un supermercato mi offre l'opportunità di ancorare maggiormente la Teresa al suolo caricandola di cibo, sto migliorando nella selezione degli articoli, comincio a riconoscerli.
Lasciando la città la strada lascia la costa per inoltrarsi all'interno ed aggirare il grande letto di un fiume, purtroppo il vento cambia e sono in croce anche sulla strada principale.
Sulla sinistra sullo sfondo i ghiacciai del Myrdalsjokull, a separarmi da loro una falesia di roccia da cui precipitano tanti fiotti bianchi d'acqua glaciale  e fino al bordo della strada una distesa di enormi pietre  coperte da un materasso di soffice muschio dallo spessore impressionante, a destra sabbia nera e acqua.






Le mie energie sono a zero, mi sdraio sotto la massicciata della strada un poco riparato dal vento e svengo all'istante, risvegliato dopo una manciata di minuti dal tonfo della bici ribaltata da un soffio più cattivo degli altri.
Riprovo ma solo mezz'ora mi taglia le gambe, non mi sono reso conto che oggi sto consumando una quantità enorme di energia per contrastare il vento, un'altra pausa per mangiare qualche fetta di pane col cioccolato e con il miele e va un poco meglio. Riesco a proseguire fino ad un caffè dove riposare, mangiare un piatto di patatine e fare una telefonata.





Ormai sono le 8 di sera, pedalo ancora fino alle nove e stop, mi dico, purtroppo non è possibile campeggiare ovunque e, nonostante sia passata l'ora che mi ero proposto, decido di non fermarmi in un'area naturale molto attraente, ha addirittura degli alberi che qui sono rari come l'acqua nel deserto, per rispettare i cartelli di divieto di campeggio.
A malincuore proseguo e la mia onestà viene premiata, non troppi km più avanti trovo un bel prato morbido parzialmente nascosto da un argine.
Al tagliando serale, che consiste in lavaggio del corpo con salviette umide e generosa spalmata di Pasta di Fissan sulle terga, scopro il perché bel bruciore alla parte destra del sedere, una bella vescica la guarnisce. Evidentemente questi tre giorni in cui ho passato abbondantemente le 30 ore in sella con  i pantaloni che uso per l'enduro in moto sopra le mutande col fondello sono state troppo per la pelle, domani si passa ai pantaloni di lycra, speriamo di riuscire a pedalare ancora, o meglio, di sopportare la sella.
Oggi 140 km in non so quanto perché la batteria del ciclo computer mi ha mollato.



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