mercoledì 19 dicembre 2018

Myanmar YANGON

4 novembre 2018          Domenica            G4                 Yangon


Dopo il primo giorno di visite siamo un po’ affaticati, dobbiamo prendere il ritmo e abituarci alla temperatura, la colazione di Jeff ci aiuta, frutta, uova con bacon e marmellata ci danno lo sprint necessario. Prepariamo i bagagli che lasciamo qui e ci apprestiamo alla seconda giornata a spasso per Yangon, questa volta ci allontaniamo in taxi, meta la Shwe Dagon Pagoda, il tempio più sacro e maestoso della Birmania.




Veniamo depositati all’imbocco della scalinata Est, dove la tettoia si allunga a coprire anche la strada, via i sandali e saliamo verso le guglie dorate e il pavimento bianco illuminato dal sole.
Decine di mercanti vendono cibi e souvenir lungo la scala, per noi è tutto nuovo, le statuette di soggetti religiosi in profumato legno di sandalo, i tocchetti di legno Tanakha, marionette, campanelle, fiori e frutta da donare, cibi e frutta secca, non smetteremmo mai di osservare le persone sorridenti negli abiti colorati e i loro prodotti. 


Eccoci alla biglietteria dove ci appiccicano sulla maglia un dischetto colorato col disegno dello stupa, il mio si scolla dopo meno di 5 minuti, ed iniziamo il vagabondaggio col naso per aria ammirando stupa(il principale è coperto da impalcature di bamboo che ne ricalcano la forma e costellato di operai al lavoro), le pagode a tetti sovrapposti dalle decorazioni arricciate, tempi zeppi di statue, edicole vigilate da orchi, elefanti e altri personaggi. 






Attorno alla grande cupola piccole stazioni indicano i giorni della settimana e i fedeli versano acqua sul Budda posto al loro giorno di nascita.






Ci sediamo all’ombra dopo un po’ di visita, per riposare ma soprattutto per riempirci gli occhi di questa moltitudine da festival punteggiata dal bordeau, dall’ocra e dall’arancione dei monaci rasati di tutte le età che compiono atti di devozione. 





Monache dalle vesti di delicati rosa e bianchi, rasate come gli uomini, più rade, punteggiano la moltitudine colorata dei differenti colori e fogge degli abiti dei fedeli delle molte etnie presenti sul territorio. 






L’occhio non ha un’attimo di tregua, si sposta dalle sfavillanti meraviglie architettoniche, ai personaggi strani, ai costumi appariscenti in un caleidoscopio continuo di immagini .





La concentrazione di statue, monumenti, costruzioni, decori è impressionante, una cosa che un po’ ci ha disturbati è la presenza di illuminazioni a led lampeggianti e variopinti su statue ed altari che, se da un lato dimostra una flessibilità e un adattamento del Buddismo ai tempi che cambiano, dall’altro delude l’immagine romantica che noi, per la prima volta in Asia, abbiamo di questa cultura.





Il caldo umido che ci avvolge, pur non essendo estremo, ci rallenta, veniamo da un’autunno europeo che, seppur mite, non ha nulla in comune con questo clima, dobbiamo acclimatarci.
La scoperta graduale dei costumi e dei modi locali prosegue nell’orbita attorno alla cupola principale e dopo tre ore buone stiamo discendendo lo scalone coperto meridionale che termina sulla strada, ai suoi lati due grandi Cinthe, gli animali mitologici dal corpo di leone e la testa di grifone che molto spesso presidiano gli ingressi dei templi, questi sono alti oltre 10 m.


Nel caldo meridiano ci spostiamo su un vialone assolato trafficato da mezzi a motore, trishaw che trasportano merci, bancarelle che cuociono e vendono street food, ci stiamo dirigendo verso il quartiere cinese. 





Cammin facendo il richiamo irresistibile dell’ombra e di una sedia ci richiamano in un locale a bordo strada con tavoli sotto una tettoia. 


Inutile dire che un locale del genere da noi non avrebbe futuro, ma qui è la norma e ci si abitua in fretta, gli immancabili menù plastificati scritti nel locale alfabeto a “pallini”, in inglese e spiegati in maniera internazionale da una foto del piatto ci guidano in una scelta ancora difficile, non avendo ancora dimestichezza con i cibi tipici. Ci rendiamo conto che i piatti a base di riso, noodle o vermicelli sono generalmente buoni e incontrano facilmente i nostri gusti, la difficoltà principale della Lella è con il piccante ed i cibi dai sapori particolari, io sono praticamente onnivoro. Scopriamo presto che qui le porzioni sono monumentali, terminare un piatto significa essere decisamente sazi, assaggiare ricette differenti costringe a condividere a meno di avanzare gran parte del cibo, molto particolare l’insalata a base di foglie di tè tipica della cucina Shan. La birra Myanmar non è una buona idea, la bottiglia è enorme e in un attimo ti trovi a colare di sudore dai pori completamente dilatati per il calore.






Rinfrancati proseguiamo tra continue immagini sconcertanti e stupefacenti di vita on the road a cui non siamo abituati, baracche sotto gli alberi a bordo strada, rifiuti ovunque, chioschetti di vendita grandi poco più di una garrita di guardia dove le persone vivono e si lavano sun marciapiedi...insomma una girandola di emozioni e sensazioni che ti fa rimanere a bocca aperta permanentemente.




La Chinatown è piuttosto deludente, contraddistinta soprattutto dal cambiamento dei caratteri sulle insegne dei negozi, ma le scene di vita sono sempre dei flash che colpisono con violenza i nostri occhi stranieri. Ci sono costruzioni estremamente degradate ovunque con vegetazione che prospera su tetti e cornicioni, povertà dilagante, ma non ti senti mai minacciato o in pericolo, i visi sono distesi e sorridenti, tutti si affaccendano e infondono tranquillità, nonostante la totale diffusione di fili spinati sulle recinzioni delle proprietà si ha l’impressione che il crimine sia assente.



Altra pausa  in un locale pieno di mamme con bimbi, sembra un fast food in cui si vendono sotrattutto frullati e doughnuts coperti da creme e pallini di tutti i colori, per noi l’attrattiva è costituita dall’aria condizionata, piuttosto rara al di fuori degli hotel.
La curiosità ci porta sullo Strand, il vialone che costeggia il fiume, assiepato di bancarelle che propongono frutta, verdura e cibi cotti a non finire, le banane gli avocado e i mango sono tra le poche cose che si riconoscono tra i frutti, il resto ha forme e colori nuovi.




Cibi fritti, cotti sulla piastra, zuppe e spiedini propongono articoli che supponi, altre volte non riesci proprio ad immaginare cosa siano, gli odori e i rumori si mescolano tra il formicolare dei clienti che in piedi o seduti mangiano mentre altri se ne ne vanno con sacchettini di plastica in cui trovano posto anche le zuppe.




La lunga e lenta avanzata ci conduce al porto da cui si muovono i ferry per attraversare il fiume da e verso Dhala, un sobborgo povero della città, la ressa è impressionante, centinaia di persone con borse, pacchi, motorini, biciclette cariche di mercanzia, donne con pacchi, cesti e involti sul capo, bimbi di tutte le età invadono tutto il suolo calpestabile e fuiscono tra le immancabili bancarelle. Trascinati nella ressa come turaccioli nella corrente arriviamo al pontile, ma non posso avvicinarmi a fotografare se non devo imbarcarmi, solo più in là si riesce ad avvicinarsi all’acqua e ad immortalare le barche da pesca variopinte alla luce del tramonto.


Evitiamo le scale di un ponte pedonale che attraversa il vialone e richiamo l’attraversamento con i locali più agguerriti, ancora una volta salviamo la pelle e ci trasciniamo sul lato in ombra della strada fino ad un locale, con aria condizionata, dal classico carattere inglese. I clienti sono pochi e tutti stranieri, un tè alla menta fresca ci aiuta a rilassare il corpo accaldato e affaticato, senza accorgercene percorriamo chilometri.



Tornare in albergo si rivela complicato, quattro taxisti si rifiutano di portarci fino al nostro albergo, non mi è chiaro il perché, finalmente ne troviamo uno disposto, anche se farà un giro piuttosto lungo e mi costringe a far da navigatore nell’ultima parte.
La moglie di Jeff, in albergo, è molto gentile, permette alla Lella di farsi una doccia e ci prepara un’insalatona greca per cena, prima che arrivi il taxi che ci condurrà alla stazione dei bus.
Dopo i saluti alle 19,30 veniamo traghettati da un taxista schizzofrenico nella bolgia della stazione dei bus, fortunatamente ci deposita davanti al nostro mezzo, controllo biglietti, etichettatura ed imbarco bagaglio ed eccoci a bordo del notturno VIP per Bagan.
I colori sono piuttosto Najf, cuscino cervicale, coperta, lattina di coca, brioche e bottiglia d’acqua fanno parte del servizio, su indicazione di Jeff ci siamo tenuti a portata maglia e giacca per proteggerci dall’aria condizionata polare. 


Passate le nove si parte ed effettivamente dopo 10 minuti si ghiaccia, dopo il primo tratto abbastanza scorrevole la strada diventa molto accidentata, procediamo nelle tenebre con qualche sosta per sbarcare i passeggeri, qualcuno ci è parso fosse nel bagagliaio, forse clandestino...chissà, Finiamo per addormentarci sul sedile reclinato e le gambe non proprio comode.

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