mercoledì 19 dicembre 2018

Myanmar Yangon

4 novembre 2018          Domenica            G4                    YANGON

La prima notte trascorre senza problemi, del resto eravamo stanchi morti. La stanza pur non essendo bella è efficiente al 100%, la colazione offre tutto quello che il mio stomaco può desiderare e lo si consuma all’aperto al canto degli uccelli, sotto la tettoia ordinatamente impilati decine di cartoni delle biciclette di Jeff.
Questa mattina decidiamo imbarcarci sul treno della linea circolare che la guida consiglia per l’immersione tra la gente del luogo e la vista dei quartieri periferici della città. 


L’avventura inizia sul tri-shaw che l’hotel ci ha fatto arrivare. Il ragazzo ci “pedala” tra stradine e costruzioni fatiscenti fino alla piccola stazione dove, per una cifra irrisoria, compriamo i biglietti del treno. 



In attesa sulle banchine ci sono venditori di frutta, acqua, piccoli snack imbustati alla buona, di frutta secca, che poi ritroveremo tutti sul treno a proporre i loro prodotti lungo il corridoio. Situazione molto imbarazzante quando una ragazza lascia il posto alla Lella e una signora lo cede a me, non sapendo come comportarci per non offenderli ci sediamo. Profumi e odori sconosciuti invadono le nostre narici, gli occhi si riempiono delle immagini che passano attraverso i finestrini, è un tripudio di vegetazione, pur essendo ai margini della città ci sono alberi, cespugli e fiori in quantità, capanne e baracche sorgono accanto ai binari e una moltitudine di gente sale e scende nelle stazioncine.
La nostra meta è Yangon centrale, facilmente riconoscibile dall’enorme imbuto di binari che prende forma dopo la semplice linea due binari. Anche la stazione, come molte costruzioni è parecchio fatiscente, per attraversare le linee una scala porta a un lungo ponte coperto da cui si domina la fitta rete di binari paralleli. 


Dopo il dondolio del treno trovarsi sulla banchina dà l’impressione di essere un marinaio sulla terraferma, un’enorme quantità di gente dai vestiti colorati si muove in massa verso la passerella, molte donne con vassoi e pacchi in bilico sul capo.
La sopraelevata ci porta in un piazzale di fronte alla stazione dove c’è il parcheggio indicatoci da Jeff, qui dovremmo trovare l’agenzia di viaggi che vende biglietti dell’autobus per lo spostamento successivo verso Bagan. Questa è la prima operazione che ci imponiamo, in modo da essere sicuri di avere un posto sulla linea VIP. Costeggiamo una serie di fabbricati il cui piano basso è costituito da locali aperti in ognuno dei quali c’è una bottega o un’attività di qualunque genere che dà direttamente sul marciapiede. Camminando lentamente in cerca della nostra agenzia contempliamo l’attività brulicante, i vestiti tradizionali delle donne dai 1000 colori, i longi degli uomini, il trucco giallo che decora le guance e a volte la fronte dei visi femminili. Non so come, con la coda dell’occhio, noto un bugigattolo con due piccoli tavolini E delle ragazze all’interno, qualche locandina appesa, la mente lo registra ma le gambe procedono per qualche passo. Fermo la Lella e insieme torniamo a guardare, questa è la nostra agenzia, blocchetti di tagliandi dalle dimensioni e colori diversi sul tavolino e un iPad per gestire l’attività, una ragazza sorridente, come quasi tutti gli abitanti del Myanmar visti sinora, ci offre i suoi servigi in un buon inglese. Nel giro di cinque minuti abbiamo in tasca I nostri due biglietti vip, destinazione Bagan sulla corsa notturna, partenza ore 21.00.
Ora che ci siamo assicurati il futuro può cominciare la vista.


Percorrendo un lungo viale che supera i binari della ferrovia dedichiamo le prime attenzioni al Bogjoke San market, un mercato tradizionale pieno di souvenir, prodotti locali, pietre preziose, gioielli, tessuti, vestiti tradizionali, sculture in legno e anche una zona di ristorazione, oltre a una quantità notevole di ambulanti che propongono cibi di tutti i tipi, nessuno dei quale riconoscibile da noi.





Vagando tra le bancarelle la Lella mette in atto le sue doti the stimolano il commercio, comprando souvenir a tutto spiano in chioschi, bancarelle e negozi, i nostri occhi non ancora abituati ai prodotti del luogo non si stancano mai di vagare ed osservare, quando le gambe decidono il momento del riposo ci avviciniamo alla zona dei ristoranti. È una sorta di capannone con le pareti suddivise da tanti differenti locali cucina, nella zona centrale i tavolini di ognuna delle attività, tutti i camerieri sono in attesa, stessa scena dei taxisti in aeroporto, appena ti avvicini ti assalgono vociando e cercando di accaparrarsi il cliente, È una scena molto pittoresca anche se mette un po’ in difficoltà. L’ambiente ricorda un po’ la zona ristorazione degli shopping mall, spostata nel tempo al neolitico. 


Tavoli un po’ precari, sedie di plastica da esterni, pulizia alquanto dubbia, i cuochi che si affaccendano a vista trattando cibi sconosciuti, menu plastificati con le fotografie dei piatti, la descrizione criptica nei caratteri a pallini e svolazzi del luogo ha un aspetto gentile e rassicurante ma assolutamente incomprensibile, fortunatamente seguita dalla descrizione in inglese.
E’ il nostro primo pasto “on the road” in Myanmar e siamo comprensibilmente preoccupati, ordiniamo dei noodle e del riso con pollo accompagnati da succhi d’ananas e di mela. A parte la difficoltà di ottenere le posate i cibi sono buoni, solo le bevande sono veramente scarse, la frutta sembra pestata in un mortaio e abbondantemente annacquata, il frullatore qui è ancora un apparecchio del futuro.
Lasciando il tavolino ci imbattiamo in una toeletta pubblica che per 100 Kiats ti dona un attimo l’intimità in un piccolo locale lercio dall’odore insopportabile.
Lasciato il mercato ci dirigiamo verso la Sule pagoda, attraversando una zona di palazzi veramente decrepiti, antenne satellitari e fili elettrici ovunque, sui marciapiedi ogni sorta di mercanzia e di cibi. Inutile dire che è un’incessante fotografare, ogni cosa è nuova, strana e degna d’interesse.







In lontananza appare lo stupa dorato del tempio buddhista che, cosa veramente strana, sorge al centro di una rotatoria, è sopraelevato come la maggior parte delle pagode, e vi si accede attraverso scale poste ai quattro punti cardinali. 



Istruzioni scritte ovunque invitano a lasciare scarpe e calze alla base della gradinata. 


Ci sovrasta una tettoia elaborata e decorata, si arriva in uno spazio a forma di corona circolare, al centro del quale c’è l’altissimo stupa, circondato da tantissimi altarini, cappelle con statue del Budda, ripiani su cui ardono candele e incenso, mazzi di fiori votivi e doni di frutta giacciono ai piedi delle statue, fontanelle e bacilli forniscono acqua ai fedeli che, con ciotole argentate, lavano il Buddha. 









Dopo questo primo approccio con la religione buddista ci fermiamo un po’ a riposarci nel parco accanto, dove un obelisco bianco, monumento all’indipendenza, svetta sui viali alberati, sui prati, le fontane e gli animali dorati in mostra per difendere gli animali selvaggi.



Seguendo le indicazioni della guida iniziamo un tour nella zona centrale della città, la più parte dei palazzi, ricordo dell’epoca coloniale, sono decrepiti, in condizioni pessima, facciamo tappa in una sala da tè consigliata da Lonely Planet come molto caratteristica ed in effetti lo è, ma non nella misura che ci aspetteremmo, come tutte le attività locali è in un piccolo locale buio e sporco con qualche tavolino all’interno e una serie di piccoli tavoli con sgabelli in plastica per bimbi all’esterno. Il tè birmano è veramente particolare, molto dolce e sembra ci si del latte, il sapore è fruttato, indefinibile, a me non dispiace  ma la Lella non ne è entusiasta.





Passiamo un po’ di tempo osservando la vita attorno a noi, persone che si affaccendano cucinando su braci o pentole d’olio, un tale seduto con un merlo che si sposta dalla gamba alla spalla alla testa, una giovane mamma con la bimba in braccio entrambe truccate col giallo Thanaka tipico birmano. Donne che passano nelle loro bluse e longy colorati che fasciano corpi snelli, chi porta carichi sul capo, chi spinge carretti sgangherati e stracarichi, chi porta l’asta da cui pendono due carichi a bilanciere, non si può annoiarsi.
Proseguiamo il nostro giro fino ad arrivare sullo Strand, il viale che costeggia il mare, dove una linea interminabile di chioschi di ristorazione propone tutto lo street food possibile e di seguito infiniti venditori ambulanti di telefoni e apparecchi elettronici usati. Chiudiamo il tour nel parco accanto alla Sule Paya quando ormai si è fatto buio e lo spettacolo della pagoda illuminata che si riflette nelle fontane è veramente bello, altra pausa di osservazione in attesa dell’ora di cena, fa buio presto, alle sei è notte.



Ci facciamo condurre da un taxi al ristorante Feel Myanmar, consigliatoci dal padrone dell’hotel e presente anche nella guida, il locale è caratteristico, con una struttura in pali di bamboo coperta da pannelli intrecciati, l’interno è curato ed apparecchiato come un locale occidentale. Francamente abbiamo apprezzato di più i cibi consumati nei locali primitivi visitati sinora, provo una birra Mianmar che non è male ma si trova solo in grosse bottiglie da 66cl. La cosa che ci sorprende è che alle 9 rimaniamo gli ultimi clienti, fanno pulizia e ci sentiamo stimolati a sgomberare.


Ancora il taxi non ha idea dell’ubicazione del nostro hotel, così navigo, ormai sono esperto e arriviamo senza problemi, oltre a Lory seduta al tavolo in cortile c’è una tedesca appena arrivata, Ziggy, scambiamo quattro parole e ci ritiriamo per il meritato riposo.

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