domenica 16 aprile 2023

 PROGETTO TRANSAMAZZONICA 2023


MAROCCO: TOUR DI FAMIGLIARIZZAZIONE DEL TEAM 

21 Marzo - 5 Aprile 2023

parte prima

Alberto, Riccardo e Paolo

La traversata che ci proponiamo di completare in Brasile, Bolivia e Cile comporterà notevoli difficoltà di adattamento fisico al clima e una quantità di problematiche da risolvere sul campo, partendo dalla risoluzione di avarie meccaniche, possibili disagi fisici legati agli insetti e malattie connesse e non ultimo il rischio legato alla diffusissima microcriminalità.
Essendoci conosciuti sul web è necessario approfondire la conoscenza, consolidare un legame che solo un'esperienza insieme può generare. Ecco motivato questo viaggio di due settimane in un ambiente caldo ma a differenza dell'Amazzonia secco.
Un paio di mesi fa traccio con Komoot il percorso, in seguito prenotiamo il volo ed eccoci a Bergamo il 21 di marzo scorso per affrontare questa pedalata insieme.

Qui il link al percorso sull'app. Komoot


Dopo un poco di ansia da partenza e preparativi per il trasporto bagagli è finalmente tempo di partire.
Arrivo per primo a Bergamo/Orio al Serio con zainetto e borsone cilindrico contenente la Teresa (bici) e quasi tutto il bagaglio dopo il viaggio in treno fino a Milano e una sudata immensa per portare il bagaglio al terminal dei bus per l'aeroporto. 
Allestimento del borsone bici






Maglia commemorativa di Amarok

Alberto e Riccardo arrivano un'oretta dopo accompagnati dalla navetta del parcheggio, anche loro con zainetto minimo come da bagaglio cabina Ryanair e cartone con le bici.

Grande entusiasmo e gioia per l'esperienza pronta a "decollare". Primo piccolo inconveniente, uno dei cartoni si è danneggiato e si ovvia al rischio di apertura avvolgendolo con il domopack  in aeroporto.
Seduta di foto con le magliette IOSONOAMAZZONIA e check in un po' in ansia per i pesi.
Tutto ok con il personale di terra estremamente gentile e consegnamo le bici al nastro dei bagagli speciali.


Siamo ormai pronti per il controllo doganale e l'ingresso al gate dove aspettiamo l'imbarco sorseggiando l'ultimo Prosecco (Riccardo tradisce qui la sua dipendenza dalla Coca Cola) offerto da Alberto.
Decolliamo in orario con Alberto al posto numero 1a che quasi deve pilotare.


Atterraggio in orario dopo circa tre ore, ritiriamo il bagaglio, cambiamo un po' di soldi per la cassa comune che a grande richiesta mi tocca gestire ed eccoci all'uscita dove ci attende il cartello dell'ostello prenotato. 



Come pattuito due taxi ci portano nella medina di Marrakech fino al punto in cui la strada lo consente, da qui si prosegue con le bici su un carrettino e un vecchietto che spinge.


Arriviamo all'ostello Be Nomad e scarichiamo tutto, check in e ci sistemiamo dopo un the di benvenuto nella nostra alquanto spartana stanza, abbiamo già fatto conoscenza con Diana, una ragazza messicana, e Salvatore, un nostro compatriota.





E' l'una di mattina ora italiana (qui mezzanotte) quando ci sediamo in un localino modesto ma vicino, e mangiamo un boccone assaggiando tajine, brick e cous cous di manzo, alle due a letto e alle 4,30 sono già in piedi, ho dormito meno del solito, accidenti.




Approfittando della notte scarto il pacco della bici, tolgo il centinaio di fascette che bloccano tutti i pezzi e con calma comincio ad assemblare, il mio lavoro è più lungo, gli altri devono montare la ruota anteriore e poco più.


Quando ci ritroviamo tutti la mia bici è pronta e meno male, perché c'è pochissimo spazio e qui si fa colazione. 



Il montaggio delle bici di Alberto e Riccardo avviene nel vicolo dietro calda raccomandazione dei ragazzi alla reception.


Pancakes, omelette, miele, marmellata e spremuta d'arancia aiutano ad iniziare una giornata che per me, alle 8,30, è già stata lunga. 
Doccia subito!
Il receptionist gentilissimo si procura schede telefoniche INWI, carica da 50Gb per ciascuno di noi e ci inizializza i telefoni (istruzioni in arabo). 
Alle 10,15 finalmente tutto è pronto, cartoni in custodia all'ostello e noi sulle bici. Purtroppo mi sono scordato il casco e ci suggeriscono di andare al Decathlon a comprarlo, questo, oltre a farci percorrere inutilmente 15 km e perderci di vista una volta, ci dà l'opportunità di un primo colpo occhio alla Jemaa El F'Naa, la piazza caratteristica di Marrakech.




L'attrattiva è forte a causa delle mille particolarità che la affollano, nonostante sia ancora presto, carrozze a decine, chioschi di frutta e beveraggi, bancarelle colorate di tessuti e souvenirs, venditori di acqua coperti di tazzine e cimbali e gli incantatori di serpenti da cui ci facciamo subito incastrare, cercano di soffiarci 20€ a testa per qualche foto.


Alla fine decidiamo di lasciare per il ritorno una visita più completa.
Abbiamo ormai fatto mezzogiorno e riteniamo saggio approfittare del ben di Dio che offre un mercato lungo la strada per tamponare velocemente lo stomaco e finalmente metterci in cammino. 



Un chilo di fragole profumate, banane e arance che consumiamo al tavolo di un bar poco oltre sorseggiando un the alla menta che sarà il motivo conduttore del viaggio.



Nella piana, con l'orizzonte lattiginoso per la foschia da calore e un sole impietoso nel cielo blu che ci coccola a 20°C in più di quelli che c'erano ieri in Italia, procediamo leggermente instupiditi verso le pendici dell'Atlante, la catena montuosa che andiamo a scalare.
Qualche piccolo assaggio di navigazione per seguire il tracciato di strade secondarie e un tratto di pista ci aprono le porte del viaggio in Marocco tra aree segnate dal tracciato di un nuovo sviluppo urbano, palmeti sofferenti e sobborghi di fango e foglie di palma.




Campi di frumento e filari di eucalipti ci accompagnano ma dei monti nemmeno l'ombra.
Un lungo sterrato ghiaioso con un po' di vento contrario ci secca la lingua impolverata dai rari veicoli che incrociamo, finalmente un pugno di case all'ombra dell'ennesimo minareto, oltre all'immancabile barbiere, ci offre un negozietto con tavolino dove, in men che non si dica, beviamo una Coca da litro, poi un'altra ed infine una Fanta. Mi rendo subito conto di non essere all'altezza delle capacità di consumo di bevande gassate dei miei compagni, ecco trovato il primo dei miei limiti.



Finalmente dalla foschia emerge una linea montuosa, il percorso ad arco iniziato verso Est e lentamente curvato verso Sud ci avvicina ai contrafforti che in una sequenza di salite e discese ci guida nella valle che si incunea tra i monti.
Uno stormo di ragazzini in bici ci accompagna nel centro abitato di Ait Aourir per umiliarci alla prima salita con le loro bici disastrate ma scariche. Quasi tutti sorridono e ci salutano, la gentilezza allieta il viaggio.


Ormai la salita è continua, non troppo dura ma senza sosta nei 37°all'ombra a cui non siamo ancora acclimatati, le borracce si svuotano con regolarità.
Moltissimi ambulanti e chioschi più seri vendono geodi di cristalli di tutti i colori, alcuni sicuramente tinti artificialmente viste le tonalità improbabili, e fossili di cui i monti sono ricchi.


Costoni di roccia rossa e ocra ci affiancano nella salita e tratti di calanchi dilavati in profondi solchi dalle rare ma copiose piogge fanno contrasto con le stratificazioni curvate e ripiegate dai movimenti del terreno nelle ere geologiche.


In questo panorama suggestivo arranchiamo perdendo liquidi a fiotti insieme ai sali minerali, probabile motivo dei feroci crampi che assalgono Riccardo, costringendolo a tratti a camminare per trovare parziale sollievo.



Ci lasciamo alle spalle il piccolo villaggio di Touama e incrociamo un ciclista marocchino che viene da Casablanca, due chiacchiere, selfie e proseguiamo ancora per un tratto finché per i crampi non è più possibile proseguire. Siamo accanto ad un ristorante, i proprietari ci dicono che poco più di un km a monte, accanto alla stazione di servizio Afriquia c'è un albergo. 


Dopo un rapido confronto tra di noi chiediamo se è possibile avere un passaggio per bici e Riccardo fino al sito, disponibilissimo il titolare provvede al trasporto e con calma arriviamo anche noi, contrattiamo una stanza, la cena e la colazione e ci sistemiamo, ormai sono le 19. 



La cena con zuppa marocchina tajine e spremute d'arancia non sarà molto differente dalle tante che consumeremo nei giorni seguenti, il conto, invece, sarà una spiacevole sorpresa, non tragica ma decisamente fuori mercato per la zona.


Con la pancia piena crolliamo sui letti, Riccardo ancora dolorante combatte le fitte.

La mattina del 2°giorno di viaggio, giovedì 23/3, segna l'inizio del mese di digiuno per i Musulmani, il Ramadan, al ristorante, fedeli al trattamento disonesto riservatoci per la cena, non c'è nessuno e il negoziato di alimentari accanto è chiuso. 
Agggirandomi nel tentativo di reperire qualcosa da mangiare incontro il titolare del negozio che fa le pulizie, a differenza del ristoratore parla francese, gli spiego che abbiamo concordato nel prezzo anche la colazione e siamo stati abbandonati a noi stessi. Indignato per l'accaduto come se fosse stato lui il maltrattato, parte e va a svegliare il ristoratore, gli fa una ramanzina e lo induce a mantenere la  parola data. 



Bene, c'è sempre qualcuno onesto su cui fare affidamento, colazione fatta e con precauzione Riccardo rimette alla prova i muscoli contratti che sembrano aver superato la condizione critica.



Stimiamo che manchino una sessantina di km e 1000m di dislivello al passo Tizi N'Tichka, con cadenza regolare e senza forzare procediamo lungo la vallata, sui pendii antichi villaggi arroccati di mattoni crudi e tetti di paglia ricordano il fondale di un presepe, davanti a noi le cime innevate del Djebel Toubkal, gigante da 4167m che domina la catena dell'Atlante. Un amico a 4 zampe ci accompagna per un tratto.




Ogni tanto un ristorante per i turisti compare al bordo strada tra i mille venditori di minerali, immancabili pulmini portano gruppi di visitatori che sciamano nei punti panoramici e ci guardano come se fossimo astronauti, alcuni applaudono al nostro passaggio, sicuramente sono gli appassionati di ciclismo.





Falesie rosse dagli ossidi ferrosi di varie tonalità mostrano ondulazioni e volute di decine di strati rocciosi modellati come argilla dalla potenza dei vulcani e delle ere geologiche. Sparuti cespugli e qualche alberello stento compaiono qua e là fino al verde abbacinante di un praticello nel fondovalle che rompe la monotonia cromatica grazie ad un rivolo d'acqua che fa scattare la meraviglia della vita.




Stranamente, a 1500m di altitudine, dove alle nostre latitudini la vegetazione si dirada e va a scomparire, qui appare una foresta di pini.
Dopo un paio d'ore ai pedali e un pugno di km percorsi trascinandoci la nostra casa, facciamo pausa per una barretta e una sostanziosa bevuta con rifornimento alla fontanella a bordo strada, confido che sia di sorgente e dissenteria-free. Ne incontreremo anche una di acqua frizzante e fresca.




Ancora una lunga serie di curve seguendo il fianco destro della vallata fino ad una strettoia dove si sale in corte diagonali intervallate da tornanti che ci portano su una sorta di terrazza con vista, ovviamente addobbata di articoli minerali e di folklore locale, che attende i turisti con un grande parcheggio e un bar per placare le gole riarse. E' l'ora della merenda e non ci perdiamo questa opportunità, ormai poco distanti dalla sommità del passo, il consueto the berbero accompagna le noccioline e le barrette comprate questa mattina.



L'ultimo strappo ci porta al "Tichka", il valico che ci fa scendere nella valle delle Rose. 





Un vento sostanzioso ci accoglie nell'ennesimo piazzale con bar e mercato di cristalli e fossili, anche se noi siamo più interessati al pannello che indica la quota posto tra due torri merlate, ed è subito foto di gruppo con maglia della tranzamazzonica scattataci da una coppia di ragazzi italiani di passaggio.





Pensavamo, erroneamente,  di essere alla sommità, invece con un vento contrario pedaliamo per una breve discesa e subito ci ritroviamo a salire, è una sorta di sella tra due colli. 
Quando siamo finalmente in discesa conclamata, in uno dei molti tratti sterrati dove lavorano alla strada, la mia gomma anteriore cede e in barba alle gomme Schwalbe anti foratura mi ritrovo a bordo strada a grattugiare la camera d'aria e rappezzarla con l'aiuto di Alberto mentre Riccardo intavola una trattativa infinita col venditore di pietre subito accorso.
Riprendiamo a scendere, purtroppo ci sono molti tratti piani e parecchie salite con il vento che ci ostacola, le gambe ormai risentono della lunga salita ma non molliamo. 











Abbiamo fatto tardi, ci fermiamo ad un ristorante e Abdel è molto disponibile, parla una quantità di lingue, ci prepara subito un the e poi la cena, sembra che riusciremo a dormire nel ristorante, deve chiedere l'autorizzazione al padrone.












Ci arriva una zuppa di verdure, olive, pane, omelette alle verdure e tajine di tacchino con verdure, grande trattamento rispetto all'esperienza di ieri!
Arrivati al punto di sistemarci per la notte veniamo a sapere che non ci fanno dormire qui perché non avendo la licenza potrebbero avere problemi con la polizia. Abbiamo due alternative: scendere nel giardino sul letto della valle o metterci nel parcheggio di un hotel vicino, per non avere una gran salita da fare a spinta domani optiamo per la seconda, ma scopriamo che la salita è subito.
Abdel ci accompagna con la torcia, ormai è notte, ci sistemiamo su una terrazza che domina la valle e a tentoni allestiamo il campo sotto le raffiche di vento che complicano le operazioni. La tenda di Riccardo non è autoportante e il fondo duro non permette di piantare picchetti, ovviamo con pietre per tendere a ancorare, peccato che uno dei paletti d'alluminio si rompe sulla sommità, quindi bisogna improvvisare, domani risolveremo.
Siamo a Tisselday, un piccolo borgo, e abbiamo pedalato oltre sei ore, i muscoli di Riccardo hanno superato il problema, stiamo andando bene, si prende il ritmo.

Ci svegliamo presto il giorno 3, venerdì 24/3, vorremmo partire alle 7 ma il bar dell'hotel di fronte al ristorante di ieri sera come le sirene ci richiama, dovrebbe essere solo un caffè visto che in due giorni, come dei veri ricconi, abbiamo polverizzato 3000 dhiram. 



Una volta scoperto che prendono gli euri, cadono i freni inibitori e ci troviamo davanti cappuccino, marmellata, miele, olive, omelette. Con la colazione abbiamo ritardato a sufficienza per salutare Abdel e quasi alle 9 siamo in strada.
Soli 20 km e la mia ruota anteriore è di nuovo a terra, comincio a odiare il copertone antiforatura, smontato sotto un caldo allucinante scopro che ancora una volta è un taglietto sulla stessa circonferenza del precedente...mi fa pensare a un difetto della camera d'aria, così invece di riparare sostituisco.



Procediamo in un ininterrotto saliscendi dai crinali che separano i letti degli oued, i fiumi alluvionali che scaricano le piogge rare e torrenziali dai monti. 





Le colline sassose ocra e rosse contrastano con i prati che punteggiano le valli, gli alberi di melograno e le piantagioni di Argan, fonte di semi e di lavoro intenso per le cooperative femminili che ne ricavano l'olio e commercializzano i prodotti per la cosmesi.
Nel primo pomeriggio siamo a Ouarzazzate, capoluogo locale e, come sottolinea l'ingresso agli studios, capitale della cinematografia marocchina: OUARZAZZATTIWOOD!!!


Un viale sontuoso doppia corsia ci introduce nell'abitato, siamo subito magneticamente attratti dalla posta e dalla possibilità di cambiare valuta. Condannato dalla mia posizione di gestore della cassa comune mi faccio una lunga attesa per l'operazione, la ragazza allo sportello è gentile ma lenta e sottoposta ad una procedura infinita, controlla le banconote una ad una e non devono avere segni o macchie (in aeroporto è stato un attimo, manco le hanno controllate). Alla fine esco con un fascio di banconote.
Abbiamo la nostra rivalsa pranzando in un chiosco gestito da una signora gentilissima, diventerà anche amica su fb di Riccardo, tajine di carne macinata e verdure, CocaCola a gogo e the per due soldi.



Il viaggio ondulato prosegue verso Skoura dove saccheggiamo un negozio di alimentari entrando ed indicando i prodotti  uno per uno, ci cucineremo la cena nel campeggio omonimo.




























Al check in scopriamo che preparavano il couscous per cena e Alberto si mangia le mani, lo sogna da due giorni. Ci sono dei camper e una coppia di ragazze cicloturiste che hanno viaggiato una da Locarno e l'altra da Monaco per alcuni mesi. 
Piazziamo le tende insieme a loro sotto una tettoia di cannucce e affrontiamo la cucina mentre Riccardo scopre che Raissa, la svizzera ticinese, ha la sua stessa tenda e si fa mostrare come montarla in fretta forte dell'esperienza di mesi.






Il fornello a benzina fa i capricci nonostante gli abbia fatto uno smontaggio e pulizia totale dopo l'ultimo viaggio, c'è una perdita dal rubinetto di apertura che mi costringe alla sostituzione della guarnizione di tenuta e alla fine smonto tutto di nuovo nel tentativo di liberare la linea di alimentazione. Al buio non è comodissimo ma riusciamo a farlo lavorare e a cucinare un piatto di pasta risottata in dose da reggimento di soldati. Mezzo kg di pasta, tonno, pomodoro e una scatola di ceci. Avanzerà ben poco, nonostante le mani lerce di nerofumo e puzzolenti di benzina mangio con gusto, la giornata di bici è stata favorevole all'appetito di tutti.
Anche questa sera abbiamo fatto tardi e non abbiamo potuto approfittare della piscina del camping.

La sveglia del giorno 4 ci vede lasciare il campeggio mentre le nostre vicine ancora dormono, tutti i bar sono chiusi, compriamo in negozio succo, yogurt e ci sediamo al tavolo di un bar chiuso, presto arriva il padrone, sicuramente avvisato dai vicini e ci offre di preparare la colazione. Ancora una volta ci caschiamo e con la scusa di olio, miele e formaggio di capra casalingo ci rapina una cifra ingiustificata. Impareremo a contrattare prima il prezzo!
Si pedala come di consueto verso le 9 su un terreno piuttosto arido e simile ai giorni precedenti, il cielo sempre blu e il sole splendente. Il primo tratto veramente faticoso con il vento frontale che non dà tregua.
Sui rilievi a lato della strada cominciano ad apparire le prime Kasbah, molte in evidente stato di abbandono, con le pareti dilavate e il reticolo di giunzione dei mattoni di fango evidenziato da crepe profonde, altre ben conservate con armoniose decorazioni in rilievo su torri e frontoni.




Molti ragazzini curiosi ci salutano nei piccoli villaggi, donne timide ci osservano di sottecchi e anziani seduti nei caffè o contro il muro di casa valutano questi stranieri incomprensibili che lasciano gli agi europei per pedalare bici stracariche sotto il sole impietoso.
Il paese di Kalaat M'Gouna si mostra eccezionalmente diverso dagli altri, quasi tutte le botteghe, più curate ed occidentali, mostrano prodotti profumieri e di cosmesi ricavati dalle rose.  Quattro banche in pochi metri giustificano l'enorme attività commerciale che gravita nella valle delle Rose e che qui ha il suo epicentro, tra le decine di profumerie troviamo a stento un ristoranti scalcagnato dove consumate l'ennesima tajine kefta (con carne macinata e verdure) sovrastata da un uovo e un peperoncino verde, il mio piccantissimo.
Il percorso attraversa altri paesi dalle case decorate a motivi di bassorilievo geometrico antiche costruzioni in rovina, sino ad arrivare a Boumanlne du Dades dove imbocchiamo la valle omonima caratterizzata da strappi vertiginosi tra le pareti di terra e roccia rossi che in alcuni tratti si avvicinano incombenti.
Ancora molte Kasbah alcune in rovina ed altre trasformate in hotel e riad che offrono ambienti lussuosi, piscine allettanti  e verande ombrose.
A tratti il fondovalle è verde di prati, filari d'alberi e frutteti scheletrici ancora senza foglie, sul corso d'acqua le donne raccolte in gruppi fanno il bucato sciacquando e battendo la biancheria, contadini curvi lavorano i campi con attrezzi manuali mentre gli asinelli sfruttano il momento brucando e ragliando furiosamente.
Un minareto, le palme, il villaggio e il pendio dirimpetto della valle costituito da enormi mammelloni di arenaria gialla erosa e arrotondata da vento e acqua costituiscono un quadretto unico e ci ritroviamo in un punto panoramico a scattare foto tra una moltitudine internazionale di turisti e locali che cercano di concluderete loro vendite. Di nuovo compare la nostra maglietta bianca con nome e logo amazzonico.

Ormai la giornata di viaggio volge al termine e prende il via la consueta scenetta divertente della spesa, i venditori spesso parlano solo l'arabo e ti fanno entrare dietro il piccolo bancone che ostruisce parzialmente la porta per osservare e scegliere i prodotti esposti sugli scaffali, talvolta la pasta è in grandi scacchi di carta e venduta sfusa, come la farina e la semola per il couscous, non troviamo piselli da affiancare al tonno nel condimento, ci metteremo i ceci avanzati e delle olive, qui quasi tutti i legumi si trovano solo secchi.
Raggiungiamo il villaggio di Ait Oudinar e troviamo facilmente il campeggio.
La giornata è stata piuttosto faticosa e il gruppo risente un po' della tensione accumulata, ma dopo un attimo di riposo tutto torna roseo, montiamo casa, ci facciamo la meritata doccia e cuciniamo il solito mostruoso piatto di pasta nella cucina messa a disposizione dal padrone, simpatico e molto affabile.










Questi ci mostra una cartina della zona e ci spiega le possibilità di percorso, inizialmente si era pensato di tagliare una parte del percorso, per compensare il ritardo accumulato, poi optiamo per risalire la valle sino ad Agoudal senza accorciare.

La mattina del 5° giorno per me è panico totale, dopo avere impacchettato e caricato la bici mi accorgo di non avere il portafogli, soldi e documenti compresi. Era in tenda, ne sono sicuro! comincio a riaprire i possibili involti fino a ritrovarlo nella tenda, incredibile non avere sentito arrotolando il telo.
Superato l'impasse iniziale affrontiamo di buona lena l'ottima colazione preparataci da Ibrahim, una persona stupenda, ci racconta che gestisce il camping da 30 anni e suo padre prima di lui per altri 20.


Affrontiamo la salita nella valle che si stringe in una rossa gola segnata dai tornanti della strada che come il nero cobra di Marrakech si insinua salendo nelle sue profondità.


Presto raggiungiamo la strettoia che rende famosa questa zona, un orrido dalle pareti verticali che sembra tagliato da una lama enorme, di fatto il lavoro di millenni di scorrimento dell'acqua, erosione senza pausa che lentamente porta allo spettacolo immane che ci sovrasta. A renderlo più caratteristico un bimbo con una coppia di cammelli, piccolo commerciante in erba, osserva curioso le nostre biciclette.









La valle del Dades si allarga mostrando sempre forme e scorci differenti, proseguiamo scattando foto qua e là alle donne cariche di fascine e agli asini letteralmente sepolti sotto carichi enormi di rami e sterpaglie, ai contadini e alle lavandaie fino ad arrivare a M'Semrir, il villaggio da cui si separa la strada che ci consente di accorciare di una sessantina di km e risparmiare 400m di dislivello.



Sosta all'ombra di un vicolo tra due case per ricompattare il gruppo e rinfrescarci, una fontanella butta acqua ghiacciata irrinunciabile. Siamo seduti a chiacchierare quando un ragazzo si siede accanto a noi, saluta educato e non parla, ascolta e ci osserva, un bambino un po' timido gli sta vicino e va e viene attraverso una porta. Dopo un po' una donna si affaccia e sparisce, il ragazzo, allora, ci fa capire che ci invita in casa sua per un the, un po' imbarazzati lo seguiamo, ci fa entrare in una grande stanza con tappeti sul pavimento, divani lungo le pareti e un tavolino basso al centro, per educazione lasciamo le scarpe all'ingresso e ci accomodiamo. 




L'atmosfera è strana, Lazim, così si chiama il ragazzo, parla molto poco il francese e ci si capisce più a gesti e col traduttore del telefono che a parole. Sul tavolino la signora, con un bimbo sulle spalle assicurato da un drappo, ci serve the, pane olio, miele, datteri e frutta secca. La situazione è commovente, la generosità di queste persone modeste nei confronti di stranieri mai visti è una lezione che si apprende con vergogna, ti fa chiedere dove effettivamente sia la civiltà.
La signora silenziosa sparisce, scopriamo essere la madre di Lazim e dei suoi tre fratelli, la conversazione incerta e un po' tentennante prosegue per una mezz'ora quindi ci accomiatiamo ringraziando e cercando di pagare, senza successo, cioè che ci è stato offerto, salutiamo con calore tutti quanti e li lasciamo avendo ricevuto una lezione di umanità incomparabile.


Concludo dentro di me che chi ha avuto la benedizione del guadagno attraverso il turismo, ha spesso perso le doti di generosità, disponibilità ed altruismo che vediamo in chi ne è estraneo (ci sono ovviamente le eccezioni ed Ibrahim è una di quelle).
Proseguiamo quindi verso Agoudal ignorando la scorciatoia per una tappa breve di una cinquantina di km verso i 3200m del passo.








La sosta in un villaggio successivo genera un incontro casuale, un contadino che passa con il serbatoio di una pompa a mano sulle spalle si ferma a parlare, parla un po' francese e un po' spagnolo, racconta di non essere Musulmano, ma Amazigh, crede nella terra nel sole e nella bontà, non comprende il Ramadan e non lo interessa, affitta ai turisti le stanze della sua casa e coltiva la terra, questo lo rende felice ed appagato. Ci spiega lo stemma che simboleggia gli Amazigh, a fasce blu verde e giallo con un carattere in rosso al centro, lo vedremo spesso tracciato sui muri.












Risalendo la valle gli scenari cambiano continuamente, dalle gole anguste si passa ad una valle ampia, canyon con pareti scoscese, alberi e coltivazioni, boschetti con un torrente gorgogliante, zone aride e sassose, gente che lavora e bambini che giocano urlando.
Finalmente dopo tanto guadagnare quota e riperderla poco dopo arriviamo al villaggio di Tilmi dove Alberto, assiduo indagatore di Google maps, ha individuato un campeggio dal nome impronunciabile: Imdghas. Sentiti i prezzi ci rendiamo conto che per la ridicola differenza tanto vale dormire in una stanza ed evitare di smantellare completamente le bici e contrattiamo anche la cena, la colazione è compresa.
Ci avvisano che a causa di lavori all'acquedotto per un po' non ci sarà acqua per la doccia.


Approfittiamo per aggredire la ruota posteriore di Alberto a cui si sono rotti due raggi. Purtroppo essendo inseriti dal lato dei pignoni bisogna smontare la cassetta. Con la chiave nel mozzo e un pezzo di catena bloccata da un cacciavite combattiamo una mezz'ora ma alla fine abbiamo vinto, il dado cede e permette lo smontaggio, i raggi inseriti e avvitati e ricomponiamo tutto. 
Nero come uno spazzacamino mi butto nella doccia che ora funziona con un generoso getto di acqua bollente e dà nuova vita a tutti e tre.
Completiamo la rigenerazione spirituale aiutati da zuppa di verdure al cumino, insalata marocchina (evitata da Alberto per paura della dissenteria) e tajine di pollo e verdure.



Ancora una volta la fatica aiuta a prendere sonno

La colazione è pronta alle 7,30 del 6° giorno di viaggio e anche noi, la partenza invece alla solita ora, sembra non siamo in grado di partire prima e risparmiarci un po' di caldo, anche se ormai siamo in montagna e la temperatura non sarà un problema. Lo sarà il fatto che mi sono scordato di riempire la seconda borraccia, ma penso di rimediare al primo bar. 







Affrontiamo uno sterrato che passa davanti alla scuola dove una moltitudine di ragazzini e ragazzine sono raggruppati in attesa di iniziare le lezioni, dopo un paio di km un ponte ci riporta sulla strada principale.
Il primo bar è aperto ma completamente deserto, così mi accontento di di sfruttarne la toelette.



Pochi metri oltre c'è un camper tedesco parcheggiato e con una disinvolta faccia di bronzo vado a chiedere se hanno una bottiglia d'acqua da darmi, sono disponibilissimi i due e la signora ci riempie tutte le borracce aggiungendo succo di limone, in cambio li informo di un bel canyon, dopo il paese di Imilchil, che ho già percorso in moto, è popolato da scimmie e molto spettacolare, termina ai piedi di un'enorme parete di roccia chiamata Cathedral.


Da qui la strada procede sterrata ed arrampica decisamente il pendio, incrociamo innumerevoli gruppi di motociclisti, devo riconoscere che li invidio un po'. Al di sotto vediamo partire anche i nostri amici in camper, ma non riusciranno a raggiungerci.
Una grande quantità di vetture con adesivi pubblicitari e numero viaggia contro mano rispetto a noi, probabilmente un raid turistico, non sembra una competizione, alcuni sono gentili e rallentano o si fermano per farci passare visto che la pista è stretta e strapiombante, altri ci affogano in una nube di polvere.













Il paesaggio è strepitoso, si vedono alcuni tratti sotto di noi dove i tornanti si srotolano in quantità, fianchi della vallata con impressionanti depressioni e pareti stratificate, un canyon a ferro di cavallo sotto di noi ricorda il Grand Canyon, lontane cime innevate brillano al sole, c'è sempre qualcosa da vedere mentre la strada sale inesorabile e ci si trova tra residui di neve.












Eccoci ai 2911m del primo colle, arrivo poco dietro Alberto e rimaniamo ad aspettare Riccardo, che tarda, scattando decine di foto e prendendoci una breve nevicata dalle nubi minacciose che si sono formate. Scopriamo al suo arrivo che ha avuto problemi di stomaco, fortunatamente superati, ma sempre sottosopra.







Ci vestiamo per la discesa vertiginosa, la strada ora è asfaltata e in paesaggi altrettanto maestosi e spettacolari della salita ci porta a una sorta di alberghetto/rifugio di montagna dove riposare e rifocillarci. Ci sono già due coppie di attempati motociclisti austriaci con cui scambiamo quattro parole.
Riccardo non riesce a godersi omelette, noccioline salate e si accontenta della spremuta.



Dobbiamo abbandonare di corsa la nostra sistemazione sotto la veranda perché le nubi minacciose che al passo ci hanno regalato un po' di neve ora ci stanno omaggiando una grandinata che sei trasforma in un rovescio di pioggia. L'interno è molto grazioso e pittoresco in puro stile marocchino.



Proseguiamo la discesa con qualche strappo di salita fino ad Agoudal, punto più a nord del nostro tour, qui sbaglio ad un bivio e dopo un tratto mi rendo conto di essere solo, controllo la traccia su Komoot e mi accorgo dell'errore, torno sui miei passi ritrovando gli altri che mi aspettano. Riccardo mi ha inviato un messaggio, ma non essendoci ricezione non l'ho avuto.




E' ancora presto, proseguiamo verso Tinghir, affrontando il secondo colle che ci porta a 2670m attraverso valli fredde e ventose. Arriviamo al passo con gli applausi di un gruppo di turisti austriaci in vari camion fuoristrada, anche questa volta foto con il cartello per il secondo valico della giornata.



La discesa ci congela, il paesaggio aspro dai contrasti cromatici intensi attraverso tornanti e discese vertiginose ci porta ad un altopiano.






Arriviamo al villaggio di Ait Hani dove tutti gli alberghi sono chiusi, in piazza un gruppo di anziani ci indica un locale tre km oltre, l'hotel panorama, l'unico aperto prima di Tinghir. 


L'esterno è abbastanza carino ma l'interno lascia molto a desiderare, una grande stanza centrale con le stanza che si aprono attorno, molto spartane, con il lusso di un bagno primitivo annesso. 



Bisogna dire che il tutto è compensato dalla gentilezza e disponibilità dei gestori, padre e figlio. Trattativa serrata per il prezzo con il vecchio che decide e il giovane che traduce ma alla fine amiconi, io e Riccardo, chiedendo del loro abito tradizionale veniamo invitati a provare una "djellaba" di lana di pecora tessuta a mano.


La doccia calda è agibile solo dopo 20' perché c'è una caldaia a legna che deve essere accesa, ma il risultato è ottimo e si passa alla cena, ormai assuefatti alla zuppa locale riprendiamo parte dei liquidi e il couscous di pollo con verdure ci riempie di nutrienti.
La serata trascorre tra scherzi e chiacchiere cui partecipano anche i figli del padrone.
Oggi giornata dura, siamo saliti di 1500m pedalando sei ore e mezzo .
Termina qui la prima parte del resoconto di viaggio, a seguire il tratto rimanente.


Prima parte del viaggio da Marrakech ad Ait Hani




















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