mercoledì 10 aprile 2019

Myanmar 23 Yangon

23 novembre 2018        Venerdì  G23                                Yangon


Colazione in terrazza panoramica tutta vetrata con vista a 360°, anche oggi il sole splende.
Il mercato e la ressa di ieri sera sono spariti, rimangono cumuli d’immondizie e le giostre che senza luci sembrano scheletri di dinosauro, la città è tornata alla vita abituale, fino a questa sera si torna al lavoro.
Incrociamo un centro commerciale e dando un’occhiata scopro che c’è il botteghino di un cambiavalute, a corto di Kiat mi avvicino per cambiare i dollari, la ragazza dietro il vetro comincia a guardare una ad una le banconote e a rigirarle mille volte, una è rigata, un’altra è macchiata, scritta... alla fine di 400$ è disposta a farmi il favore di cambiarne 50. Irritato mi riprendo i miei soldi e me ne vado, non capisco, alcune banche accettano le banconote senza fare una piega, mentre altre fanno mille ridicoli controlli di cui nessuno serio agli ultravioletti o con apparecchi specifici.




Costeggiamo un grande ospedale passeggiando fino al Bogyoke market dove un’immersione tra le bancarelle incrementa il già cospicuo volume di regali e ricordi da riportare in patria. E’ piuttosto stancante perché non ti lasciano guardare in pace, i venditori ti propongono questo o quello e alla fine scappi dalla disperazione. Ovviamente vale per me, non per una professionista dello shopping come la Lella che affronta con gentilezza e stoica dedizione alla causa le insistenze dei venditori.



Spompato dalle attività di mercato adocchio una venditrice di frullati in un vicolo all’ombra, ordino uno alla fragola, che sarà una schifezza senza pari, ed uno al mango di onorevole qualità.  Ci spostiamo nella zona ristorazione dove una decina di ristorantini circondano un’isola di tavoli, qui scateniamo una lotta tra i camerieri per accaparrarsi il cliente, sembriamo una scialuppa in balia della tempesta, sballottati tra braccia e menù protesi, alla fine optiamo per uno qualunque sedendoci al tavolo più vicino.
Immediatamente tutti si quietano e la vincitrice ci porge il menù illustrato con le prelibatezze della casa, per dovere di equità abbiamo cambiato locale rispetto alla prima volta. Mentre scegliamo cosa mangiare una cameriera attempata ci fa aria sventolando i fogli plastificati che raccontano i cibi.
Ordinati i nostri piatti stiamo finalmente in pace a crogiolarci nel caldo umido aggravato dai tanti barbecue, fornelli e pentole d’olio bollente in azione nella grande sala.
Alla fine del pasto pianifichiamo il pomeriggio, cambiamo senza problemi i soldi in una banca al mercato e agganciamo un taxi che ci porti alla Shwedagon Pagoda, ci siamo già stati ma merita assolutamente una seconda visita.


Entriamo da un ingresso differente, questa volta insieme ai biglietti ci danno bottiglietta d’acqua e tovagliolo umido per ripulirsi i piedi alla fine, passiamo un metal detector e ci facciamo trasportare dalle scale mobili. 



Scalzi vaghiamo rapiti tra le migliaia di altari statue e templi disseminati sulla sconfinata spianata di marmo bianco, la luce è abbagliante e il caldo sopportabile all’ombra delle costruzioni dove s’insinua un gradevole venticello.








Percorriamo brevi tratti  e ci sediamo a guardarci attorno perché la quantità di dettagli è impressionate, anche osservare i visitatori è molto interessante, ancora c’è poco turismo e siamo tra i pochi europei.







Chi porta candele, chi fiori, frutta o cibi, famiglie intere con le borse per mangiare al sacco, monaci e monache quasi tutti con l’immancabile smartphone, cittadini e campagnoli con abbigliamenti folkloristici, insomma si può stare a guardare senza annoiarsi mai.







Passando tra statue, altarini, templi, stupa, divinità, animali, bastoncini d’incenso, candele, ghirlande di fiori, cumuli di frutti tropicali, abbagliati dai colori sgargianti, cullati dalla musica e dai fumi profumati terminiamo il giro e lasciamo a malincuore la pagoda.









All'esterno una signora vende uccellini da liberare come gesto propiziatorio.

 

 

Una tappa dal fornaio occidentale con aria condizionata ci toglie la voglia di dolciumi.
Torniamo in taxi a farci una doccia in hotel e a riposare un po’.




Questa sera si cena sotto casa, ieri abbiamo visto un ristorantino al limitare dell’area pedonale riservata al festival, con i tavolini sul marciapiede. 
C’è un gran movimento e ci fa da sottofondo la musica della festa, pesci grigliati, calamari fritti e verdure ci costano meno della pizza di ieri ed sono veramente buoni, avere le posate ci è costato dieci minuti di spiegazioni a gesti, e i coltelli sono sconosciuti, solo cucchiai e forchette.
Questa sera siamo cotti, saltiamo il giro tra giostre e bancarelle passando direttamente al letto.

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