domenica 25 gennaio 2015

Viaggio nel deserto Algerino ottobre 2009



ALGERIA 2009

23 ottobre  Come ogni anno all’ultima settimana di ottobre si parte per il fatidico viaggio in moto nel deserto. Anche questa volta, imbacuccato come un palombaro vado con la moto al casello Novara Ovest dell’A4, seguito dal resto della famiglia nell’auto col resto dei bagagli.
Le due Toyota, una bianca e rossa e l’altra verde e il Pajero arrivano e dopo baci abbracci e saluti si carica la mia moto sul carrello, si distribuiscono i miei bagagli tra le auto e arriva il momento triste del commiato dalla famiglia per tre settimane.


Si parte verso Genova, all’imbarco sul traghetto per la Tunisia. Il viaggio in auto e quello in nave permettono di riprendere la confidenza e la famigliarità di sempre. Arriviamo a Tunisi e dopo le solite formalità si riparte verso il sud, dormiremo la prima notte a Nefta, bivacco non lontano dal confine Algerino.









Dopo la colazione in un caffè si riparte per il supplizio della dogana e della polizia. Parcheggiamo e attacchiamo la solita ricerca e compilazione delle varie fiches. Questa volta il problema è il GPS sul Pajero di JF che essendo integrato non può essere lasciato qui, visto che è vietata l’importazione. Dopo una lunga trattativa con Michelle veramente fuori di sé riusciamo a partire e proseguire il viaggio. Siamo aumentati di un’unità, da quest’anno è obbligatorio avere la guida, e la nostra, Circh (spero sia scritto giusto) che presto per noi è diventato Shreck, ci attendeva in dogana col suo sacco.




El Oued, Touggourt e un po’ di km prima di Ouargla eccoci al nostro secondo bivacco nella sabbia lontani dalla strada asfaltata, già l’atmosfera è quella giusta, anche se ancora le moto sono in attesa.








Ouargla, Hassi Messaoud e ....150 km dopo, nel bel mezzo della transahariana verso Tamanrasset, ci si distrugge un cuscinetto della ruota del rimorchio e così siamo fermi senza ricambio.  Dopo un’intensa seduta di smontaggio una macchina parte verso Hassi Messaoud con il pezzo esploso alla ricerca di un ricambio. 









300 km e qualche ora dopo ecco tornare i nostri eroi col pezzo miracolosamente reperito. Dopo un innumerevole numero di parolacce ed altrettante martellate il cuscinetto è in sede e la ruota anche, ormai la giornata è bruciata, ma almeno siamo in grado di proseguire. Ancora un centinaio di km e ci accampiamo tra le dune. Lo spettacolo qui è maestoso, anche dalla strada asfaltata si vedono dune mostruose di sabbia rosa che si accende di tonalità impossibili al tramonto.



Proseguiamo verso sud con gli occhi che brillano e la bava alla bocca alla vista di tutta questa sabbia, per ora inviolabile con le auto cariche e i rimorchi, ad Hassi Bel Guebbur prendiamo verso est ed In Amenas, invece di continuare a sud verso Bordj Omar Driss, seguendo l’asfalto.
Si costeggia un grade altopiano con falesie nere e qua e la isole enormi di zone dunari.








Ci accampiamo un po’ a sud di In Amenas, qui il solo motivo per un puntino e un nome sulla carta è giustificato dal petrolio e quindi area estrattiva oppure  acqua, uguale pista, centro abitato e fortino della Legione Straniera.


Questa mattina arriviamo, finalmente e senza altri inconvenienti, a Illizi che sarà il nostro punto d’appoggio per i carrelli e un auto che rimane avendo esaurito il suo compito di traino.




Andiamo al campeggio e ci installiamo. Come al solito tende, borse, sacchi, ricambi e materiale più disparato si distende intorno a noi su una superficie enorme, come fosse olio che si allarga una volta versato a terra.      Devo dire che questa “struttura” che hanno l’ardire di chiamare campeggio è il posto più laido su cui abbia mai posato gli occhi (e giuro di aver visto schifezze notevoli), sembra di essere in una discarica, i servizi, poi, sono da fotografia! Hanno sovvertito i canoni, altro che civilizzazione, è meglio “farla” nella sabbia!
Dopo paziente lavoro le moto sono scaricate, i bagagli ridistribuiti, l’auto di JF e i carrelli sistemati per attenderci fino al ritorno dal tour come concordato con l’untuoso padrone del camping.    Con tutte le mercanzie a posto andiamo a cena in paese, prossima sosta tra la gente a Djanet.



Oggi si va all’attacco con le moto, purtroppo abbiamo ancora 400 km di asfalto, dobbiamo attraversare il famigerato altopiano del Fadnoun dove negli anni precedenti abbiamo incontrato venti terribili e grandi temporali.









E’ una pietraia infinita che sale dai 600 m di Illizi a quote tra i 1300 e i 1600 m e richiedeva un tempo enorme per l’attraversamento ai tempi della pista, ora, almeno, scorre.





Anche questa volta non rimaniamo delusi, ci becchiamo un temporale poderoso che culmina in una copiosa grandinata. Per fortuna siamo vicini ad un campo della Guardia Nazionale, molliamo la moto e ci buttiamo nei ripari con i militari che si agitano e dicono che è vietato, che non possiamo ecc. ecc. ma alla fine si quietano e ci lasciano perdere. 





I ripari altro non sono che mezze trincee circondate da muri a secco e coperte con teli e plastica, l’acqua cola dappertutto e noi, con loro, stiamo davanti alla porta a guardare sconsolati e fradici il cielo che si rovescia su di noi. Finalmente smette, usiamo all’aperto e sembra di essere nella tundra, desolata e piena di neve, c’è almeno un palmo di grandine che copre tutto e presto scopro che galleggia sull’acqua, tanta, che c’è sotto entrandoci fin sopra il ginocchio.
Salutiamo e proseguiamo a passo d’uomo bagnati fino a midollo e ghiacciati come pupazzi di neve, fatico ad andare dritto per i brividi che mi scuotono le braccia. Ma non avevano detto che nel deserto si muore di caldo?
Infangati a morte superiamo la zona e arriviamo un un campo di un impresa che fa lavori stradali, è poco distante ma qui il suolo è asciutto! Ancora una volta buttiamo la moto dove si trovano, assaltiamo le auto alla ricerca dei nostri bagagli e saltellando infreddoliti ci svestiamo in mezzo agli esterrefatti e pudici operai arabi e alle famiglie di pastori che vivono nei dintorni. In certi momenti non c’è riguardo per niente e nessuno!





Il giorno dopo tutto è dimenticato, solo il fango secco sulle moto fa da promemoria, ci abbassiamo di quota sulla piana di Didier e visitiamo un’area di petroglifi neolitici.  E’ una grande lastra di roccia inclinata completamente coperta di disegni di animali e di simboli, veramente impressionante, risale ai tempi in cui il Sahara era fertile e popolato di animali.



Siamo ormai alle propaggini del Tassili N’Ajer, scendiamo dall’altopiano verso Bordj El Haouas, la vecchia Fort Gardel. 






Siamo ormai sulla piana sabbiosa a sud del Tassili, ci addentriamo in un canyon strettissimo, la valle di Essendilene che termina con una pozza d’acqua (guelta) tra le rocce, a pista è di sabbia veramente molle e per galleggiare siamo costretti a correre come pazzi, con le ruote che entrano ed escono dalle tracce e la moto che scarta come un cavallo imbizzarrito.






Proseguiamo verso Djanet con i monti del Tassili a sinistra e le dune dell’erg d’Admer a destra, ci sono colline rocciose dalle forme fantastiche, sembrano cumuli di enormi biglie nere appoggiati su un letto ondulato di sabbia dorata.
Finalmente risaliamo una valle sabbiosa ed arriviamo alla mitica Djanet che ci faceva sognare ai tempi della Paris-Dakar africana.  E’ un villaggio veramente particolare, con un mercato vivace, abbarbicata contro un monte sassoso e dei portici che inglobano un grande albero e dei pietroni enormi rotolati dalla montagna, ci sono gli uomini blu, i Touareg ce vanno a spasso o si riposano all’ombra con i loro chech blu di tessuto kilometrico avvolto sul capo e sul viso.
Andiamo a campeggiare nella struttura organizzata del paese.









Lasciamo Djanet e ci addentriamo verso sud est nel Tadrart, sempre con le montagne a sinistra e il mare di dune a destra, navigando lella sabbia tra scogli neri e rocciosi affioranti qua e là.  Superiamo la pista che porta verso nord a Ghat, in Libia, siamo a meno di 50 km.





Imbocchiamo lo oued In Djerane che con un canyon sabbioso costeggiato da alte falesie va a incunearsi verso il confine libico. Il paesaggio è stupendo, molto simile a quello dell’Akakus, di cui è l’estrema propaggine a sud, forme magnifiche, crinali di sabbia sinuosi e reperti dipinti e incisi dell’epoca neolitica.   






Ci spingiamo sino a Tin Merzouga, siamo ormai a meno di 15 km dal confine della Libia, meglio non andare oltre, se ci pesca una pattuglia di militari rischiamo di testare le galere del sig. Gheddafi. Le distese di sabbia qui sono vergini, non c’è una traccia se non quelle degli animaletti e degli insetti, le formazioni di roccia erosa hanno forme spettrali e dall’alto dei pilastri ti fanno sentire un microbo.








Ripercorriamo un po’ di km all’indietro e ci accampiamo.






Purtroppo nelle descrizioni dei percorsi non riesco ad essere molto preciso perché quest’anno non avevo compilato l’abituale diario di viaggio che, elaborato al ritorno, richiama alla memoria un sacco di dettagli su panorami, emozioni, sentimenti ed episodi tra i componenti del gruppo che meritano di essere citati. Dopo sei anni non rimane gran che, la cosa bella di questi viaggi sempre con le stesse persone è il ritrovarsi dopo cena intorno al fuocherello di sterpi e ricordare le varie storie ed emozioni degli anni precedenti, ti ritrovi di fronte a dettagli e scenette dimenticate che a qualcuno tornano in mente e mano a mano tutti arricchiscono di particolari fino a fartele quasi rivivere.  Non ho mai parlato della nostra guida, scopriamo con dispiacere che essendo originaria della zona di Illizi conosce bene il Tassili ma verso sud non è gran che e non è molto avventuroso, noi siamo abituati a tagli fuori pista di giorni nelle dune, per lui non esiste, la mentalità del berbero vede percorsi facili e più lunghi su fondo consistente a meno che non sia costretto nella sabbia non ci va.  La mentalità è comprensibile per l’uomo delle carovane, ma noi siamo lontani da questo concetto, cerchiamo altro e male si accorda con le idee di Circh (Shreck) così lui cerca di farci fare quello che gli fa comodo, a noi girano i maroni ed i rapporti ne soffrono un po’. Questo avrà un epilogo estremo più avanti quando da Tamanrasset vogliamo salire all’eremo di Pere de Faucault per un percorso e lui con mille sotterfugi cerca di farci passare da un’altra parte; finirà che Bernard gli dice: “Adesso basta o prosegui a piedi o ti siedi in auto e stai zitto facendo il passeggero e andiamo dove ci pare (come abbiamo fatto per anni senza problemi)”.
La relazione è diventata un po’ tesa ma il viaggio è decisamente migliorato.




Proseguendo percorriamo a ritroso la valle e poi a sud nel parco degli archi di pietra di Ali H’dma, ce ne sono una quantità e parecchi hanno anche un nome. Stiamo scendendo verso il confine del Niger, altro sogno dei dakaristi, il Tenerè e il suo famoso albero, le oasi di Bilma, Agadez, Arlit e..... ora non è più il caso.  Questa viene chiamata Pista sud dei contrabbandieri, da qui transitano antichi camion Mercedes carichi come grappoli di mercanzie e profughi che attraversano Mali, Niger, Libia in territori desolati per mesi, in balia di doganieri raramente umani e nelle mani di trafficanti senza scrupoli, arrivati al Mediterraneo diventano boat people e solo i più fortunati sopravvivono fino alle coste delle isole italiane dopo stenti interminabili (fa rifletter quanto stiano male a casa e quanto sono determinati se si sottopongono a una tale tortura e così grandi rischi).
La pista scende verso sud ovest, arriviamo ad una quarantina di km dal confine e non oltre, la prudenza non è mai troppa, le bande armate vagano incuranti dei confini e trovarsene una di fronte sarebbe una pessima esperienza.






Costeggiamo i monti Gauthier che sono un ennesimo affioramento di di rocce nella distesa infinita di sabbia e siamo nella zona del Tafasasset, dove ci accampiamo.









Il giorno successivo si continua verso ovest, sul bordo dell’Erg Killian, una porzione di enormi e spettacolari dune della regione del Tafasasset. Ci soni molte parole che dipingono ambienti desertici differenti e con un solo termine si ha l’idea del territorio: l’erg, il reg, l’hammada, il serir ecc.
Siamo ormai nel Tassili dell’Hoggar, costellato di formazioni rocciose ad archi, pilastri, elefanti e quanto la mente riesce a suggerire.








Risaliamo lo oued Tin Tarabine verso nord ovest e arriviamo su un altopiano roccioso a 1300 m di quota dove procedere tra le pietre spaccate è una lenta agonia.









Finalmente intercettiamo la pista che ci porta a Tamanrasset dove dopo 1300 km di piste e dirette nel deserto ci fa incontrare il primo centro abitato dopo Djanet. Il campeggio di Tam è la prima comodità dopo una settimana di docce con catino e bottiglia, nessuno si lamenterà nemmeno della cena al ristorantino.












Oggi si aggrava il contrasto con la guida e finiamo per perdere la giornata e non riusciamo ad arrivare all’Assekrem, l’eremo di Faucault. 














Ci riproviamo a modo nostro e arriviamo senza problemi, il paesaggio è pietroso e lunare, ma veramente suggestivo. La zona dell’ostello costruito su un piccolo altopiano sovrastato dalle cime è molto bella, siamo a 2600 m, infatti la mattina presto troveremo la brina sulla moto.  










Dopo la cena all’ostello abbiamo dormito in una camerata tale quale ad una vecchia baita alpina di pietra e la mattina molto presto siamo saliti all’eremo a 2900 m per vedere sorgere il sole. 







L’alba vista da qui è di una bellezza struggente e i colori partono dal rosso per andare all’arancione e poi al giallo tingendo i picchi circostanti e lasciandoti senza fiato. Ricorda le Dolomiti. 












Anche l’eremo è molto particolare, una piccola costruzione di pietra con tutti i libri e gli oggetti del frate che per anni ha fatto da mediatore tra le popolazioni Touareg e il governo Francese, per poi venire ucciso da quel popolo che aveva amato e cercato di difendere. Tra i tanti meriti c’è la compilazione di un dizionario della lingua Tamasceq, studi astronomici e filosofici, tutte le testimonianze sono raccolte nello studiolo, la piccola camera e la nuda cappella con l’altare di pietra grezza del monte.
Lasciamo l’eremo scendendo dalla pista per Hirafoc e Ideles, quella che va verso Nord, prima in un panorama montagnoso e scuro con picchi, creste affilate e torrioni erosi, poi si arriva su un piatto e sabbioso altopiano.














Costeggiamo l’erg Tihodaine e dopo Afara ci infiliamo in un lungo canyon che si insinua nel Tassili, seguiamo il letto sabbioso dello oued sino a ritrovare la pista fatta all’andata e  la seguiamo verso Illizi. Ci accampiamo nel cuore del parco del Tassili N’Ajer 150 km a sud di Illizi. Ahimè il viaggio in moto comincia ad avvicinarsi alla fine, è stato magnifico ma non siamo mai sazi di guida fuoristrada e di panorami selvaggi e sconfinati.

Oggi la pietraia sconfinata del Fadnoun ci porta ad Illizi, al suo fantastico campeggio e  ai nostri averi parcheggiati qui ad attenderci.
Ricomincia la sarabanda di carica le moto, smonta tutti i bagagli e ritira l’equipaggiamento da motociclista con una certa malinconia.
Adesso siamo una colonna di tre auto con due rimorchi e una serie di motociclisti con le pive nel sacco che rimontano verso Nord sulla transahariana.  L’atmosfera ed i panorami sono comunque da viaggio esotico nel deserto e la compagnia è buona, sicché il buon umore non manca e nelle lunghe ore di guida, facendo i turni al volante, gli occhi si riempiono delle magnifiche visioni dunari e si ricordano le varie avventure, rischi, scene comiche vissute nei giorni precedenti. I bivacchi si susseguono e ci sono sempre più storie da raccontare davanti al fuoco, le città algerine passano ed alche il confine con le sue interminabili ed inutili attese, scarichiamo Shreck che alla fine si è un po’ ammorbidito pur con un fondo d’acido nei confronti di Michelle, con cui ha fatto tutto il viaggio in auto ed un rifiuto totale per Patou con cui c’era stato uno screzio soprattutto di malinteso.

Facciamo una sosta a Tozeur in Tunisia e poi alle rovine romane di Sbeitla.






















 In un soffio si arriva alla Goulette, il porto di Tunisi, imbarco, un giorno di nave ed eccoci sulle autostrade italiane.  Al casello di Novara est Riabbraccio commosso la famiglia dopo tre settimane d’assenza, si scaricano la moto e le mie mercanzie, baci abbracci e saluti e, di nuovo imbacuccato come un palombaro, vado verso casa nel freddo nebbioso di metà novembre, combattuto se essere triste per la fine del viaggio o felice di essere di nuovo a casa
...ma già sognando il prossimo viaggio!