ALGERIA 2009
23 ottobre Come ogni anno all’ultima settimana di
ottobre si parte per il fatidico viaggio in moto nel deserto. Anche questa
volta, imbacuccato come un palombaro vado con la moto al casello Novara Ovest
dell’A4, seguito dal resto della famiglia nell’auto col resto dei bagagli.
Le
due Toyota, una bianca e rossa e l’altra verde e il Pajero arrivano e dopo baci
abbracci e saluti si carica la mia moto sul carrello, si distribuiscono i miei
bagagli tra le auto e arriva il momento triste del commiato dalla famiglia per
tre settimane.
Si
parte verso Genova, all’imbarco sul traghetto per la Tunisia. Il viaggio in
auto e quello in nave permettono di riprendere la confidenza e la famigliarità
di sempre. Arriviamo a Tunisi e dopo le solite formalità si riparte verso il
sud, dormiremo la prima notte a Nefta, bivacco non lontano dal confine
Algerino.
Dopo
la colazione in un caffè si riparte per il supplizio della dogana e della
polizia. Parcheggiamo e attacchiamo la solita ricerca e compilazione delle varie
fiches. Questa volta il problema è il GPS sul Pajero di JF che essendo
integrato non può essere lasciato qui, visto che è vietata l’importazione. Dopo
una lunga trattativa con Michelle veramente fuori di sé riusciamo a partire e
proseguire il viaggio. Siamo aumentati di un’unità, da quest’anno è
obbligatorio avere la guida, e la nostra, Circh (spero sia scritto giusto) che
presto per noi è diventato Shreck, ci attendeva in dogana col suo sacco.
El
Oued, Touggourt e un po’ di km prima di Ouargla eccoci al nostro secondo
bivacco nella sabbia lontani dalla strada asfaltata, già l’atmosfera è quella
giusta, anche se ancora le moto sono in attesa.
Ouargla,
Hassi Messaoud e ....150 km dopo, nel bel mezzo della transahariana verso
Tamanrasset, ci si distrugge un cuscinetto della ruota del rimorchio e così
siamo fermi senza ricambio. Dopo
un’intensa seduta di smontaggio una macchina parte verso Hassi Messaoud con il
pezzo esploso alla ricerca di un ricambio.
300 km e qualche ora dopo ecco
tornare i nostri eroi col pezzo miracolosamente reperito. Dopo un innumerevole
numero di parolacce ed altrettante martellate il cuscinetto è in sede e la
ruota anche, ormai la giornata è bruciata, ma almeno siamo in grado di
proseguire. Ancora un centinaio di km e ci accampiamo tra le dune. Lo
spettacolo qui è maestoso, anche dalla strada asfaltata si vedono dune mostruose
di sabbia rosa che si accende di tonalità impossibili al tramonto.
Proseguiamo
verso sud con gli occhi che brillano e la bava alla bocca alla vista di tutta
questa sabbia, per ora inviolabile con le auto cariche e i rimorchi, ad Hassi
Bel Guebbur prendiamo verso est ed In Amenas, invece di continuare a sud verso
Bordj Omar Driss, seguendo l’asfalto.
Si
costeggia un grade altopiano con falesie nere e qua e la isole enormi di zone
dunari.
Ci
accampiamo un po’ a sud di In Amenas, qui il solo motivo per un puntino e un
nome sulla carta è giustificato dal petrolio e quindi area estrattiva
oppure acqua, uguale pista, centro
abitato e fortino della Legione Straniera.
Questa
mattina arriviamo, finalmente e senza altri inconvenienti, a Illizi che sarà il
nostro punto d’appoggio per i carrelli e un auto che rimane avendo esaurito il
suo compito di traino.
Andiamo
al campeggio e ci installiamo. Come al solito tende, borse, sacchi, ricambi e
materiale più disparato si distende intorno a noi su una superficie enorme,
come fosse olio che si allarga una volta versato a terra. Devo dire che questa “struttura” che
hanno l’ardire di chiamare campeggio è il posto più laido su cui abbia mai
posato gli occhi (e giuro di aver visto schifezze notevoli), sembra di essere
in una discarica, i servizi, poi, sono da fotografia! Hanno sovvertito i
canoni, altro che civilizzazione, è meglio “farla” nella sabbia!
Dopo
paziente lavoro le moto sono scaricate, i bagagli ridistribuiti, l’auto di JF e
i carrelli sistemati per attenderci fino al ritorno dal tour come concordato
con l’untuoso padrone del camping. Con
tutte le mercanzie a posto andiamo a cena in paese, prossima sosta tra la gente
a Djanet.
Oggi
si va all’attacco con le moto, purtroppo abbiamo ancora 400 km di asfalto,
dobbiamo attraversare il famigerato altopiano del Fadnoun dove negli anni
precedenti abbiamo incontrato venti terribili e grandi temporali.
Anche
questa volta non rimaniamo delusi, ci becchiamo un temporale poderoso che
culmina in una copiosa grandinata. Per fortuna siamo vicini ad un campo della
Guardia Nazionale, molliamo la moto e ci buttiamo nei ripari con i militari che
si agitano e dicono che è vietato, che non possiamo ecc. ecc. ma alla fine si
quietano e ci lasciano perdere.
I ripari altro non sono che mezze trincee
circondate da muri a secco e coperte con teli e plastica, l’acqua cola
dappertutto e noi, con loro, stiamo davanti alla porta a guardare sconsolati e
fradici il cielo che si rovescia su di noi. Finalmente smette, usiamo all’aperto
e sembra di essere nella tundra, desolata e piena di neve, c’è almeno un palmo
di grandine che copre tutto e presto scopro che galleggia sull’acqua, tanta,
che c’è sotto entrandoci fin sopra il ginocchio.
Salutiamo
e proseguiamo a passo d’uomo bagnati fino a midollo e ghiacciati come pupazzi
di neve, fatico ad andare dritto per i brividi che mi scuotono le braccia. Ma
non avevano detto che nel deserto si muore di caldo?
Infangati
a morte superiamo la zona e arriviamo un un campo di un impresa che fa lavori
stradali, è poco distante ma qui il suolo è asciutto! Ancora una volta buttiamo
la moto dove si trovano, assaltiamo le auto alla ricerca dei nostri bagagli e
saltellando infreddoliti ci svestiamo in mezzo agli esterrefatti e pudici
operai arabi e alle famiglie di pastori che vivono nei dintorni. In certi
momenti non c’è riguardo per niente e nessuno!
Il
giorno dopo tutto è dimenticato, solo il fango secco sulle moto fa da
promemoria, ci abbassiamo di quota sulla piana di Didier e visitiamo un’area di
petroglifi neolitici. E’ una grande
lastra di roccia inclinata completamente coperta di disegni di animali e di
simboli, veramente impressionante, risale ai tempi in cui il Sahara era fertile
e popolato di animali.
Siamo
ormai alle propaggini del Tassili N’Ajer, scendiamo dall’altopiano verso Bordj
El Haouas, la vecchia Fort Gardel.
Siamo ormai sulla piana sabbiosa a sud del
Tassili, ci addentriamo in un canyon strettissimo, la valle di Essendilene che
termina con una pozza d’acqua (guelta) tra le rocce, a pista è di sabbia
veramente molle e per galleggiare siamo costretti a correre come pazzi, con le
ruote che entrano ed escono dalle tracce e la moto che scarta come un cavallo
imbizzarrito.
Proseguiamo
verso Djanet con i monti del Tassili a sinistra e le dune dell’erg d’Admer a
destra, ci sono colline rocciose dalle forme fantastiche, sembrano cumuli di
enormi biglie nere appoggiati su un letto ondulato di sabbia dorata.
Finalmente
risaliamo una valle sabbiosa ed arriviamo alla mitica Djanet che ci faceva
sognare ai tempi della Paris-Dakar africana.
E’ un villaggio veramente particolare, con un mercato vivace,
abbarbicata contro un monte sassoso e dei portici che inglobano un grande
albero e dei pietroni enormi rotolati dalla montagna, ci sono gli uomini blu, i
Touareg ce vanno a spasso o si riposano all’ombra con i loro chech blu di
tessuto kilometrico avvolto sul capo e sul viso.
Andiamo
a campeggiare nella struttura organizzata del paese.
La
relazione è diventata un po’ tesa ma il viaggio è decisamente migliorato.
Proseguendo
percorriamo a ritroso la valle e poi a sud nel parco degli archi di pietra di
Ali H’dma, ce ne sono una quantità e parecchi hanno anche un nome. Stiamo
scendendo verso il confine del Niger, altro sogno dei dakaristi, il Tenerè e il
suo famoso albero, le oasi di Bilma, Agadez, Arlit e..... ora non è più il
caso. Questa viene chiamata Pista sud
dei contrabbandieri, da qui transitano antichi camion Mercedes carichi come
grappoli di mercanzie e profughi che attraversano Mali, Niger, Libia in
territori desolati per mesi, in balia di doganieri raramente umani e nelle mani
di trafficanti senza scrupoli, arrivati al Mediterraneo diventano boat people e
solo i più fortunati sopravvivono fino alle coste delle isole italiane dopo stenti
interminabili (fa rifletter quanto stiano male a casa e quanto sono determinati
se si sottopongono a una tale tortura e così grandi rischi).
La
pista scende verso sud ovest, arriviamo ad una quarantina di km dal confine e
non oltre, la prudenza non è mai troppa, le bande armate vagano incuranti dei
confini e trovarsene una di fronte sarebbe una pessima esperienza.
Siamo
ormai nel Tassili dell’Hoggar, costellato di formazioni rocciose ad archi,
pilastri, elefanti e quanto la mente riesce a suggerire.
L’alba vista da qui è di una bellezza struggente
e i colori partono dal rosso per andare all’arancione e poi al giallo tingendo
i picchi circostanti e lasciandoti senza fiato. Ricorda le Dolomiti.
Anche
l’eremo è molto particolare, una piccola costruzione di pietra con tutti i
libri e gli oggetti del frate che per anni ha fatto da mediatore tra le
popolazioni Touareg e il governo Francese, per poi venire ucciso da quel popolo
che aveva amato e cercato di difendere. Tra i tanti meriti c’è la compilazione
di un dizionario della lingua Tamasceq, studi astronomici e filosofici, tutte
le testimonianze sono raccolte nello studiolo, la piccola camera e la nuda
cappella con l’altare di pietra grezza del monte.
Lasciamo
l’eremo scendendo dalla pista per Hirafoc e Ideles, quella che va verso Nord,
prima in un panorama montagnoso e scuro con picchi, creste affilate e torrioni
erosi, poi si arriva su un piatto e sabbioso altopiano.
Costeggiamo
l’erg Tihodaine e dopo Afara ci infiliamo in un lungo canyon che si insinua nel
Tassili, seguiamo il letto sabbioso dello oued sino a ritrovare la pista fatta
all’andata e la seguiamo verso Illizi.
Ci accampiamo nel cuore del parco del Tassili N’Ajer 150 km a sud di Illizi.
Ahimè il viaggio in moto comincia ad avvicinarsi alla fine, è stato magnifico
ma non siamo mai sazi di guida fuoristrada e di panorami selvaggi e sconfinati.
Oggi
la pietraia sconfinata del Fadnoun ci porta ad Illizi, al suo fantastico
campeggio e ai nostri averi parcheggiati
qui ad attenderci.
Ricomincia
la sarabanda di carica le moto, smonta tutti i bagagli e ritira l’equipaggiamento
da motociclista con una certa malinconia.
Adesso
siamo una colonna di tre auto con due rimorchi e una serie di motociclisti con
le pive nel sacco che rimontano verso Nord sulla transahariana. L’atmosfera ed i panorami sono comunque da
viaggio esotico nel deserto e la compagnia è buona, sicché il buon umore non
manca e nelle lunghe ore di guida, facendo i turni al volante, gli occhi si
riempiono delle magnifiche visioni dunari e si ricordano le varie avventure,
rischi, scene comiche vissute nei giorni precedenti. I bivacchi si susseguono e
ci sono sempre più storie da raccontare davanti al fuoco, le città algerine
passano ed alche il confine con le sue interminabili ed inutili attese,
scarichiamo Shreck che alla fine si è un po’ ammorbidito pur con un fondo
d’acido nei confronti di Michelle, con cui ha fatto tutto il viaggio in auto ed
un rifiuto totale per Patou con cui c’era stato uno screzio soprattutto di
malinteso.
In
un soffio si arriva alla Goulette, il porto di Tunisi, imbarco, un giorno di
nave ed eccoci sulle autostrade italiane.
Al casello di Novara est Riabbraccio commosso la famiglia dopo tre
settimane d’assenza, si scaricano la moto e le mie mercanzie, baci abbracci e
saluti e, di nuovo imbacuccato come un palombaro, vado verso casa nel freddo
nebbioso di metà novembre, combattuto se essere triste per la fine del viaggio
o felice di essere di nuovo a casa
...ma
già sognando il prossimo viaggio!